il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

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339970 commenti | 64297 titoli | 25522 Location | 12722 Volti

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  • Film: Stessi battiti (2022)
  • Luogo del film: Il supermercato dove Federico (Fiorio) trova lavoro per potersi permettere l'acquisto di una bici da
  • Luogo reale: Borello, Via Busano 28, Rivara, Torino
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  • Film: Se non avessi più te (1966)
  • Multilocation: Spiaggia del molo
  • Luogo reale: Spiaggia del molo, Positano, Salerno
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Bourvil

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  • Silvia Ramenghi

    Silvia Ramenghi

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Herrkinski
L'effetto è quello comune a svariati altri sequel "al risparmio" di quegli anni: spariscono gli attori di richiamo, si erge a protagonista il meno dispendioso Stevens - ancora in "blackface" - e si sposta l'azione in una metropoli (Toronto, spacciata per New York), puntando maggiormente su azione e commedia. Il risultato è tutto sommato meglio delle aspettative; il robot è sempre brillante e riesce a evocare sia allegria che pietà, gli SPFX sono ancora ottimi e il ritmo è alto, anche se la sensazione che il film - pur gradevole - sia un po' una forzatura, a tratti si fa sentire.
Commento di: Ronax
Da nomi come Deray e Ventura era lecito aspettarsi qualcosa di più di uno spy seriale d'imitazione e in effetti l'aspettativa è ben ripagata. Niente aitanti bellocci simil-Connery, scenari esotici, diavolerie fantascientifiche e Bond glrl fatali, ma un feroce intrigo a base di tradimenti, doppi e tripli giochi sullo sfondo di una Vienna cupissima che ricorda le atmosfere già immortalate da Carol Reed. La trama, contorta e spesso al limite dell'incomprensibile, resta sullo sfondo mentre in primo piano giganteggia Lino Ventura con i suoi modi spicci e la sua espressione disincantata.
Commento di: Caesars
Discreto corto (circa 8') diretto, oltre che interpretato, dal grande Linder. Il "nostro" e suo padre sono attratti da una giovane e dalla di lei madre; le cose andranno però in un modo ben diverso da quanto ipotizzabile... Max è sempre in splendida forma e assicura vivacità alla narrazione, anche grazie alle sue tipiche espressioni; in questo caso la trama, pur certamente non molto articolata, sa riservare qualche sorpresa, rendendo piuttosto riuscito il lavoro. Sicuramente Linder ha fatto di meglio, ma il filmato risulta consigliabile a i suoi estimatori.
Commento di: Lupus73
Episodi concatenati, che hanno come filo conduttore la percorrenza di una strada in mezzo al deserto e che spesso possono risultare piuttosto farraginosi in quello che ci vogliono comunicare: i due assassini in fuga, la band femminile alle prese con i satanisti, l'uomo che investe la ragazza, il bar e l'episodio finale che chiude il cerchio. Il soprannaturale è sottolineato da una CGI che contribuisce a rendere l'effetto piuttosto vacuo, surreale e a parte qualche spunto interessante è ben poco il salvabile, prima di arrivare al finale, sicuramente incuriositi ma a bocca asciutta.
Commento di: Reeves
Piccolo capolavoro spesso dimenticato, fondato sulla nevrosi della bellissima Gene Tierney che si dimostra possessiva in modo patologico, fredda, calcolatrice, assassina. Colori sgargianti e sentimenti fiammeggianti, trama molto spinta (il rapporto della protagonista con il padre è molto sospetto). Un continuo crescendo di emozioni e di perversioni che difficilmente si riesce a dimenticare.
Commento di: Gabigol
Bell'esordio quello di Watkins: film derivativo quanto si vuole, ma meritorio nello sposare una denuncia socio-politica con un piglio feroce che raramente si registra nel circuito mainstream. Ottimi O'Connell e la Reilly (quest'ultima trascina il film); Fassbender un po' ornativo. Da segnalare una buona scrittura - le dinamiche interne alla baby-gang, le proiezioni genitoriali sui figli - e la capacità registica di mantenere alto il ritmo, pur mostrando il fianco qua e là a qualche inverosomiglianza. Di arida rassegnazione il finale.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Il trasferimento dell'azione dai Sessanta ai Settanta cambia tutto e i Manetti giocano con quello che è il materiale cinematografico più vicino alle loro passioni: il lavoro sulle scenografie, la ricerca degli oggetti di scena, gli arredamenti, le auto e molti altri particolari testimoniano di una rivisitazione scrupolisissima che trionfa in colori e inquadrature straordinarie. Una vera gioia per gli occhi che supera il già ottimo lavoro che nei primi due film aveva fatto capire quanto l'impianto visivo, nella saga di Diabolik, venga prima di tutto.

Qui la storia,...Leggi tutto che pure è tratta da uno degli albi più noti delle sorelle Giussani, passa in secondo piano, debole com'è e meno ricca di snodi cruciali, con Diabolik (Gianniotti, confermato dopo la pur non memorabile performance del capitolo 2) per la gran parte del tempo bloccato con Ginko (Mastandrea) in una stanza ed Eva (Leone) in un ruolo meno centrale che in passato. Questo perché un certo spazio viene lasciato alla banda di giovani scapestrati che sembra uscita (come molte altre cose) da uno dei nostri celebrati noir dei Settanta. Soprattutto si guarda con bel gusto citazionista al grande Fernando Di Leo che, a cominciare da MILANO CALIBRO 9 (certi interni, il night con strip, la stessa presenza di Barbara Bouchet), offre molto dell'immaginario qui utilizzato. La stessa Clerville, magnificamente resa con scorci ricavati da più città e spesso immersa in luci notturne di grande effetto, sembra più la Milano di allora che la città "retrofuturistica" vista fin qui. Peccato purtroppo non ci si rifaccia a Di Leo anche per i dialoghi, qui anonimi e imparagonabili a quelli virtuosistici del maggior regista di noir italiani dei Settanta.

La prima vittima delle macchinazioni di Eva e Diabolik è la donna (Crescentini) chiamata ad accompagnare la contessa Wiendeimar (Bouchet) nel caveau della banca dove quest'ultima conserva preziose monete sulle quali il ladro in nero ha messo gli occhi. Eva si sostituisce all'impiegata per attuare il colpo progettato da Diabolik ma lo stesso ha fatto una banda di ragazzacci dal grilletto facile che, nello stesso momento, entra in banca e si appropria delle monete facendo fuori la nobile signora. Inseguimento di rito, un rapinatore beccato e grazie a quello sia Ginko che Diabolik arrivano alla casa di un avvocato che pare la mente del gruppo di giovani. Qui verranno colpiti e legati in una stanza dove Diabolik, alla fatidica domanda di Ginko che riprende il titolo, farà partire una serie di flashback di gioventù in bianco e nero che francamente lasciano il tempo che trovano, allungando il brodo e lasciando capire che la trama questa volta è facile facile e secondaria, rispetto al resto.

Con un'Altea (Bellucci) più presente che in passato, un Gianniotti maggiormente in confidenza con il personaggio e che supera gli impacci nella recitazione visti in GINKO ALL'ATTACCO! (e che qui coinvolgono invece alcuni dei rapinatori) sembrerebbe di dover premiare il film, che però fatica a rendersi interessante e si fa apprezzare quasi esclusivamente per il grande impatto visivo. Insieme alle belle musiche (dei calibro 35 con Alan Sorrenti) sarà ciò che manderà in sollucchero gli amanti del piombo Anni Settanta. Proprio in virtù di questo e della secondarietà di trama e dialoghi si può dire che i Manetti (si vedano alcuni giochi di luce straordinari) riprendano il Diabolik di Bava rielaborandone in qualche modo lo stesso concetto di cinema nel tentativo di richiamarne la genialità della messa in scena.

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Massimo Catalano era un trombettista jazz romano. Ebbe un certo seguito nella band in cui suonava con Franco Bracardi, ma il vero successo lo ottenne quando Renzo Arbore lo imbarcò nel gruppo di “Quelli della notte”, l’epocale trasmissione Rai che lanciò un gran numero di strampalati personaggi. Lì Catalano era l’uomo degli aforismi dal sapore più scontato, frasi lapalissiane pronunciate come fossero grandi verità. Un’idea simpatica, vincente (come quasi tutte quelle che si vedevano in “Quelli della notte”), che regalò...Leggi tutto al musicista imprevista notorietà; al punto da promuoverlo protagonista in un episodio di “Che fai… ridi?”, in cui non fa che interpretare se stesso.

Una sera, a lavoro finito in Rai, ecco che parte la prima "catalanata", rivolta al guardiano notturno: “E’ meglio dormire tanto ed essere lucidi al mattino che stare svegli tutta la notte e passare una giornata da rincoglioniti”. E al posteggiatore che gli chiede cosa sia la vita la risposta è quella del titolo, questa volta del tutto enigmatica e ben poco sensata: “La vita è una tromba”. Poi qualche incontro, la stessa notte, per la città, e in discoteca, a elargire massime o più semplicemente a dialogare con personaggi più strambi di lui. Fino alla brutta sorpresa: qualcuno gli ha sottratto la preziosa tromba che teneva sul sedile dell’auto. Impossibile comprarne una nuova: lo strumento di lavoro, per un artista jazz come lui, è una parte di sé, e poter usare il proprio è fondamentale.

Partirà così la caccia alla fatidica tromba, compresa di denuncia del furto in polizia, dove si apprezzano qualche simpatico botta e risposta con il commissario (Uzzi) nonché l’incontro con una buffa signora (Baralla). Qualcuno suggerirà che a Porta Portese, lì a Roma, si ritrova tutto, e si consulterà addirittura uno dei boss locali, per capire se potrà essere recuperata. Poi in riva al mare il confronto con lo “spiaggiatore” (Serra), un tizio che gira con una grancassa e dimostra singolare avversione per il Belgio.

Si moltiplicheranno gli incroci con personaggi veri (tra questi la coppia Maurizio Costanzo/Luciano De Crescenzo sulle strisce pedonali, Bruno Lauzi…) e fittizi. C’è persino Carlo Verdone, in un locale, ossessionato da un cacciatore di autografi che gliene ha già fatti firmare venti e che lo tormenta fissandolo senza sosta. Alla fine il gruppo di “cercatori” guidati da Catalano si affiderà al Mago di Ceri (Cicalissi), altra figura caricaturale. Finale con equivoco: Renzo Arbore verrà fermato nella notte con una valigetta del tutto simile a quella che conteneva la tromba, confesserà ma… tutt’altro! Una chiusura simpatica che in fondo segue la traccia di quanto visto fin lì, con il bizzarro gruppo di personaggi ai quali via via se ne affiancano altri, tutti alla ricerca della preziosa tromba. Nulla di eccezionale, sia chiaro, ma almeno una regia dietro c’è e la linearità della storia aiuta a seguirla senza troppa fatica. Le frasi ovvie di Catalano vengono distribuite con parsimonia, ma il Catalano “attore” è discreto e dotato di simpatica verve.

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Alessandro Paci s'è ritagliato il suo spazio, soprattutto in Toscana. Ha girato anche un certo numero di film (quelli da protagonista spesso ai limiti dell'amatoriale), ma a teatro e in tv s’è visto di più. Passata l'esperienza giovanile a fianco di Ceccherini è rimasto nella memoria di molti per la capacità di raccontare barzellette in sequenza. Non tutte di qualità, come ben si può immaginare, ma salvate da un'esperienza che gli permette comunque di costruirle a dovere. E se anche il titolo dello spettacolo sembra alludere...Leggi tutto a qualcosa che sappia uscire dal campo (a proposito, il teatro è a Campi Bisenzio, anche se l'apertura a Times Square faceva pensare a un'improbabile trasferta a Broadway), in verità abbiamo a che fare con un one man show centrato appunto sulle barzellette. Magari dissimulate, inserite in racconti che le raccolgono a gruppi tematici che possano far pensare a semplici ricordi di gioventù o più recenti, ma alla fine dei conti si capisce che l'ossatura dello spettacolo sono le barzellette, integrate da qualche scambio di battute di Paci col pubblico delle prime file, l'intervento in un caso di una bella collaboratrice (Tonini) e, nel finale, di sua moglie Willow Gene Curry, con la quale condivide sui titoli di coda il letto per un'ultima veloce serie di freddure in una situazione da perfetta CASA VIANELLO.

Descrivere lo spettacolo quindi, considerata la sua particolare composizione, significherebbe stilare un arido elenco delle barzellette, alcune delle quali supportate da un look ad hoc (Paci in versione cowboy per una paio di "cow-boyate") ma perlopiù agganciate l'una all'altra pretestuosamente fino a quando, nell'ultima parte, si apre la raffica conclusiva in cui ogni filo conduttore scompare e si spazia da un argomento all'altro senza più preoccuparsi che esista uno straccio di attinenza tra una e l'altra. Giudicare uno show simile significa di conseguenza valutare anche il livello qualitativo delle barzellette, che se non altro nella maggior parte dei casi non suonano risapute, ed è già un piccolo vantaggio. Non che Paci sia un fenomeno alla Proietti nel raccontarle, ma risulta simpatico grazie anche a un uso contenuto e comprensibile del dialetto toscano e a un approccio molto amichevole, nient'affatto divistico, decisamente "alla buona".

Inutile dire che le volgarità non possono non far parte del pacchetto, ma non si esagera e tutto resta nell'ambito della "bischerata"... Nulla di eccezionale, ad ogni modo, e la citazione a Ceccherini (con tanto di proiezione d'una fotografia dello stesso) sembra quasi un richiamo nostalgico ai bei tempi in cui i due si presentavano in coppia con un repertorio modesto (Paci ne cita qualche buffo esempio) ma al quale rimediavano con un bell'affiatamento. Ceccherini ha poi imboccato (grazie al traino di Pieraccioni) la via del cinema nazionale, mentre Paci l'ha fatto solo parzialmente: meno esuberante e riconoscibile dell'ex partner artistico, è rimasto più confinato a un ambito regionale, all'interno del quale resta comunque sempre amato.

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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