il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

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339500 commenti | 64190 titoli | 25472 Location | 12657 Volti

Streaming: pagine dedicate

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  • Film: Matrimonio a Parigi (2011)
  • Multilocation: Casa San Giuseppe
  • Luogo reale: Via Aurelia Antica 446, Roma, Roma
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  • Film: Lubo (2023)
  • Luogo del film: Il campo dove Lubo (Rogowski) svolge l'addestramento militare
  • Luogo reale: Malga Fane, Rio di Pusteria - Muehlbach, Bolzano/Bozen
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Gaetano Guacci

    Gaetano Guacci

  • Adriana de Roberto

    Adriana de Roberto

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Valcanna
Le premesse sapevano di qualcosa di già visto troppe volte, ma il semplice survivor movie si trasforma, con l'andare avanti nella visione, in una seria denuncia sulla moderna società, con una particolare attenzione a quella americana. Il film non risparmia nessuno, non ci sono buoni e neanche cattivi. Bravissima la protagonista, che spicca su tutto e tutti. Moltissime le citazioni alla Tarantino. Un film che vale la pena vedere, in cui lo splatter è dosato alla perfezione restando confinato nel piacere di una bella risata. Consigliato.
Commento di: Luluke
L'inseguimento a piedi del poliziotto per le viuzze di Palermo è una delle scene più iconiche del cinema italiano di tutti i tempi. Siamo immersi in un neorealismo crudo, per le storie che vengono raccontate e le scene, anche quelle più disturbanti (la visita alla prostituta e i suoi amplessi con Benigno). Linguaggio e sonoro vi si adeguano, anche se risultano a volte incomprensibili. La trama a incastri non pregiudica la coralità del film. Degno e per certi aspetti indispensabile seguito di Mery, come raramente lo sono i sequel. Perfetta la non semplice direzione degli attori.
Commento di: Myvincent
Un solitario musicista si innamora della sua domestica si colore che ha lasciato la sua terra infiammata di ingiustizie. E tra quadri antichi, polvere e bellissimi sguardi su Trinità dei Monti, si sviluppa una storia fatta di pensieri e sguardi. Le parole servono a poco per raccontare un mondo che sembra un po’ una favola, in cui il tocco del maestro è evidente nella sua essenzialità. Finale com’era giusto aspettarsi.
Commento di: Apoffaldin
Ferragosto. Bruno Cortona, di professione immaturo, è un instancabile "omo a quattro ruote" a cavallo di un'auto-tigre chiamata Aprilia e porta a spasso il timido studente Roberto Mariani attraverso tutte le bizzarre stazioni della Via Crucis dell'Italia del boom o presunto tale. Lo fa come farebbe un regista con lo spettatore: attraverso un frenetico piano-sequenza con un solo, ultimo, brusco stacco di montaggio. Inevitabilmente risulterà essere un Caronte anziché un Virgilio. Capolavoro forse insuperabile del cinema umoristico (non comico). Si ride e si piange. Sempre attuale.
Commento di: Pigro
Dopo esser stato pedicure, Max Linder ritorna a vestire i panni di chi presta la sua opera in casa come parrucchiere per signora, soprattutto se signorina avvenente... ma anche stavolta il problema è il padre che richiede il servizio per sé. Peccato per le lungaggini dell’avvio: ben 4 minuti di introduzione su 12 praticamente inutili, mentre l’azione comica è decisamente vivace, in un ottimo crescendo fino alla gag irresistibile della carta incollata a mani e piedi, un vero must di molti comici a venire. Comunque piacevole.
Commento di: Markus
Ci si domanda come un film così vuoto d'idee possa essere una trasposizione per il cinema d'un romanzo horror: si tratta appunto dell'ennesimo giro di tarocchi di ragazzotti che risvegliano l'antico sonno di alcuni demoni infuriati. Il grosso problema della pellicola è che non suscita alcun tipo d'interesse e nemmeno sobbalzi di terrore che forse avrebbero se non altro mascherato, a colpi di pop-corn mandati giù di traverso per lo spavento, la pochezza della scrittura. Davvero una visione inutile: è proprio vero che non bisogna dar retta agli oroscopi, ma nemmeno... ai trailer.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Per girare un film intero nello stesso ambiente ci vuole una sceneggiatura di ferro, figurarsi per comporre una serie in sei puntate! E infatti l'operazione si fa presto faticosa da seguire, anche per colpa del solito rimpallo tra presente e passato complicato da rimbalzi ulteriori che rimescolano il racconto della superstite di una disgrazia. Questa è Maggie Mitchell (O'Donnelly), giovane medico parte della spedizione che avrebbe dovuto trascorrere i sei mesi invernali all'interno della stazione Polaris VI in Antartide per alcune ricerche a quanto pare non rinviabili. Qualcosa...Leggi tutto però va storto, e Johan Berg (Willaume), il marito di Annika (Bach), ricercatrice che aveva scelto di rimanere alla Polaris, fa ritorno in anticipo con una squadra perché da troppo tempo non aveva notizie della moglie.

Infatti, una volta entrati nella Polaris VI, i nostri hanno una brutta sorpresa: cadaveri in quantità e Annika che non si trova da nessuna parte. Dov'è finita? E soprattutto: cos'è successo lì dentro? Pagato il doveroso tributo a Carpenter col gruppo a seguire in tv LA COSA, la serie prende il vero avvio quando Maggie sbuca fuori, urlando, dal mobiletto entro cui si era nascosta. E' sotto shock, ma quando si riprende comincia subito a raccontare. Quello che rivivrà in flashback sarà quello che noi stessi andremo a scoprire passo dopo passo, anche con l'aiuto di un secondo superstite, Arthur Wilde (Lynch), uno scienziato dall'aria un po' losca che mette subito in cattiva luce la povera Maggie insinuando come lei non sia quello che dice di essere. Poco conta però, perché per il momento è bene fare ordine su quanto è accaduto, notando come si inneschi un meccanismo alla "Dieci piccoli indiani" con un presunto colpevole nascosto tra gli ospiti della stazione che cominciano a morire uno dopo l'altro. Non si tratta tuttavia di misteriosi delitti ma, a quanto pare, quasi sempre l’opera di una mano ben visibile.

All'interno dei flashback rivissuti grazie alla memoria di Maggie ne partono poi a sorpresa di ulteriori che riguardano la spedizione precedente in una differente stazione, la Polaris V, durante la quale si era registrata la morte di uno dei componenti, tale Sarah Jackson (Wehrly), in circostanze quantomeno sospette. L'interpolazione tra i due diversi periodi rischia di creare non poca confusione, ma è anche la testimonianza di un soggetto che, con una sceneggiatura più curata e un minimo di linearità, avrebbe potuto risultare molto più godibile.

Invece i particolari del tutto improbabili non si contano, così come improbabili appaiono certi personaggi (in primis il ricercatore, che oltre a non raccontare mai alcunché di relativo alle sue mansioni, ha una faccia che tutto si direbbe tranne quella di un uomo di scienza). E se non improbabile, anche il resto del cast non entusiasma: o sono figure del tutto anonime (Ramon, Aki, Rachel...) o antipatiche e stereotipate senza fantasia alcuna. Le banalità si sprecano e la gran quantità di riempitivi portano le prime puntate a concludersi con un nulla di fatto o quasi. Ci vuole un bel po' per ingranare e soprattutto per capire che sì, una storia dietro c'è e prevede anche un buon colpo di scena in coda. Ma andava sostenuta da una regia capace di smuovere meglio la palude in cui rischiano sempre di finire i film ad ambiente unico. Se non altro l'epilogo chiude senza portarci a pensare che siano necessarie ulteriori stagioni…

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I tarocchi e l'horror si sposano bene da sempre: profezie, carte dall'appeal malefico, quei disegni così evocativi... Viene in mente l'incipit della CASA NERA di Craven, ma quante volte le ha viste passare sugli schermi, l’appassionato di genere: il matto, il giullare, l'impiccato, la morte... Figure sinistre che aspettavano...Leggi tutto solo la loro bella versione “live action”, pronte ad animarsi nel buio per spaventare i malcapitati di turno; che sono, ma guarda un po', i soliti giovinastri in vena di festeggiare dopo aver affittato semplicemente la villa sbagliata per farlo. Il prologo è ambientato lì dentro, e quando i ragazzacci han finito l'alcol ecco che cominciano a rovistare negli anfratti fino a trovarci il mazzo di carte maledetto. Che non sarà il Necronomicon ma il suo potere ce l'ha, e siccome nel gruppo non poteva mancare l'appassionata di astrologia, ecco che l'unione tra tarocchi e oroscopi sprigiona la miscela infernale.

Haley (Slater) siede sul pavimento e comincia a fare la carte a ognuno dei suoi amici: parte dal loro segno zodiacale e lo incrocia con le figure estratte per declamare una fosca predizione da interpretare e che - ma va? - anticipa quello che a ognuno di loro capiterà nel prosieguo; altrimenti non si vedrebbe proprio, il motivo di tediarci con verbosi vaticini che paiono interminabili…

Partono i titoli di testa (ben in ritardo) e si comincia. Come? Indovinate un po'... La prima vittima designata sale in soffitta da una scala a pioli e nel buio zac... si piglia una coltellata in faccia; o qualcosa di simile perché nell'oscurità ben poco si capisce: sarà un po' il desolante leitmotiv del film, il buio quasi costante nei momenti chiave. Lo splatter si rivela assai scarso, per nulla fantasioso (e in questo ci si allontana molto dalla matrice eighties che sembrava il punto di partenza fin dalla "Things Can Only Get Better" di Howard Jones di poco prima) e l’attenzione si rivolge soprattutto alla messa in scena dei delitti. Per fortuna qualche idea discreta salta fuori, anche se certo non nuova (si veda l'oscurità che avanza progressivamente nei tunnel della metropolitana), e insomma... con un po' di mestiere in regia qualcosa si salva.

Di fronte a personaggi tanto vuoti, tuttavia, a dialoghi tanto odiosamente impostati senza un briciolo di voglia di uscire dai canoni della serie B più becera... le braccia cascano spesso. L'antipatia suscitata da caratterizzazioni figlie di un frustrato desiderio di apparire brillanti (si veda il nerd sovrappeso e logorroico interpretato da Jacob Batalon) non aiutano a seguire un film che invece come ritmi si autososterrebbe decentemente. Né lo fanno i mostri dei tarocchi, quasi sempre nascosti nel buio, presenze che nemmeno i soliti jumpscare in sequenza riescono a rendere spaventosi.

Spenser Cohen e Anna Halberg, che oltre a dirigere e produrre si scrivono pure la sceneggiatura a partire dal romanzo di Nicholas Adams (e ci si chiede come possa esistere davvero un romanzo, considerando la pochezza della storia), sfruttano i meccanismi del genere per dar vita a un horror che più telefonato non potrebbe essere. E quando i nostri si ritrovano a pensare che gli autori dei delitti potrebbero nascondersi tra loro in un immotivato, risibile rigurgito christieiano, ci si chiede se non ci si trovi nel bel mezzo di una parodia, suggerita anche da un poliziotto che ciancia di suicidi di fronte a delitti con tutta evidenza impossibili da catalogare come tali. All'apparire dell'esperta di tarocchi stregati (Fouèrè), cui spetta il compito di estenuarci con l'inutile storiella del mazzo maledetto, intuiamo che non si vuole tralasciare neanche un luogo comune; quindi cosa resta? Un po' di fumo negli occhi, come l'agguato stile illusionista con la ragazza nella cassa da segare in due... Troppo poco!

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Uno strano episodio; lunare, strampalato, profondamente avatiano. Ed è proprio grazie alla regia di Pupi se anche quello che sembra essere disorganizzato, confuso (come negli altri capitoli della serie “Che fai… ridi?”), qui prende una forma precisa, che lega tra loro scene bizzarre unite da un filo conduttore solido, che le fa crescere raccontando la storia di due guitti bolognesi. Sono Gianni (Cavina) e Carlo (Delle Piane), che da trentasei anni si esibiscono in un locale ora prossimo alla chiusura e che, per il loro ultimo spettacolo, decidono di ripercorrere le tappe...Leggi tutto della loro storia partendo addirittura dai rispettivi genitori (sempre interpretati da loro stessi, nel flashback), quando il padre di Gianni incontrò la madre di Carlo (“una donna molto molto poco seria”).

Il passo successivo è il momento in cui i due protagonisti “impararono il mestiere”, frequentando una scuola di recitazione in città popolata da personaggi buffi ed eccentrici. Avati non arretra di fronte a evitabili lungaggini o a qualche intermezzo ripetitivo, nemmeno quando deve far cantare e suonare i due insieme ad altri elementi di una strana orchestrina “jazz”. Ma aggiunge poi nuovi sketch che si inseriscono nella storia con anomala naturalezza, sempre legati da un tono surreal-demenziale che si fa presto cifra stilistica (come lo fu per TUTTI DEFUNTI... TRANNE I MORTI, in cui sei anni prima gli stessi Cavina e Delle Piane si trovavano alle prese con una parodia horror).

Anche grazie alla consueta, eccellente recitazione dell’affiatata coppia, diretta al meglio dal regista, tutto prende una piega che ispira simpatia in virtù di spontaneità e naturalezza assai caratteristiche, persino quando viene loro in mente di seguire in strada una giovane (si direbbe “stalkerizzare”, oggi) per proporle di partecipare al traffico internazionale che hanno in mente di organizzare, una “tratta delle bianche” alla quale la donna sembra interessata (!). Recatisi nella villa di lei per incontrarne il marito (Tonelli), scoprono che è proprio quest’ultimo a negare lo sfruttamento della propria consorte, ma con argomentazione prive di vera logica…
 
Ancora divertente è la parentesi in cui Gianni avvicina un’altra donna per fidanzarsi e Carlo subito gliela chiede in moglie! Qui un Delle Piane in versione quasi alla Woody Allen è alle prese con un paio di momenti “teneramente” cinici con l'improvvisata consorte da annoverarsi tra i migliori dell’episodio. Si continua alternando scene a loro modo riuscite - sullo sfondo di una Bologna ripresa al meglio da un Avati ispirato - a esibizioni canore o coreografie magari discutibili, troppo prolungate, ma che spesso (non sempre, va detto) si integrano bene al contesto. Il risultato è un episodio che profuma molto più di cinema rispetto agli altri della serie, soprattutto grazie all’ottimo lavoro in regia.

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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