Colli di cuoio - Film (1988)

Razzista e politicamente scorretto, questo Vietnam-movie nostrano risulta involontariamente divertente proprio a causa della sua beceraggine ideologica; gli attori non sono un granchè ed è girato in economia, ma il film non annoia e si lascia guardare nonostante Ignazio Dolce sia uno dei registi più modesti tra quelli che si sono cimentati in queste scopiazzature delle pellicole di propaganda bellica USA.

Apoda apoteosi dell'apoptosi bellica vietnamicrobica. Gli psico-sterminatori catapultati in loco per rastrellare, trebbiare e addomesticare piroclasticamente ogni più elementare forma di vita, dal protozoo più incolore al guerrigliero a mandorla più itterico, si agglutinano in un plotone di TSO-refrattari e antropologaritmi norrisiani elevati a googolplex potenza. Il Dolce registico -nomen/gabbo sGabbanato- si staglia eterologico senza bombe alla crema né paciosi diplomatici su un amaro, nitroglicerico buffet patriottardo da Fulcis in fundo.

I soldati americani risultano talmente fieri e pieni di prosopopea da rasentare le parodia, specialmente quando pronunciano frasi ad effetto gonfie di retorica: in fondo erano questi i canoni del genere a cui era necessario uniformarsi per esportare il prodotto d'imitazione, a costo di utilizzare personaggi fatti con lo stampino. La trama è la solita sequela di sparatorie e di sortite dei "charlie", messa in scena con un discreto gusto dello spettacolo e un intelligente sfruttamento del ridotto budget a distribuzione. Buone le musiche di Mainetti.

Namsploitation in piena regola con sceneggiatura scritta su un fazzoletto; la trama praticamente è inesistente, mostrando i soldati americani che stanano e sparano ai vietcong, la violenza della guerriglia nella giungla e l'aggravarsi delle condizioni psicologiche di alcuni di loro. Dolce riesce però a mantenere un ritmo alto così da non rendere catatonico l'avanzare della truppa tra la vegetazione lussureggiante, con alcuni momenti piuttosto crudi e drammatici. Tra gli esempi del genere, sia italiani che filippini, non necessariamente tra i migliori ma nemmeno da buttare.