Curiosità su Salò o le 120 giornate di Sodoma - Film (1975)

CURIOSITÀ

7 post
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  • Gugly • 3/09/08 17:07
    Portaborse - 4710 interventi
    Qundo Pasolini fu ucciso, tra le varie ipotesi si pensò anche che l'autore (Pelosi) potesse far parte del cast di questo film, o addirittura essere un escluso dal medesimo... A tale scopo furono visionati i provini effettuati dal regista, ma senza risultati.
  • Cotola • 4/09/08 20:17
    Consigliere avanzato - 3844 interventi
    Il produttore Grimaldi fu processato (e per fortuna assolto) con l'accusa di "corruzione di minori ed atti osceni in luogo pubblico".
  • Funesto • 19/10/09 01:29
    Fotocopista - 1415 interventi
    Le feci della famosa scena di coprofagia erano fatte mescolando marmellata di arance a cacao in polvere.
  • Undying • 26/10/09 17:22
    Risorse umane - 7574 interventi
    Hanno scritto ...

    "L'utilizzo testuale di de Sade, all'interno di un contesto socio-politico radicalmente diverso è propriamente aberrante."

    Jean-A. Cherasse, in Sade, Obliques, n.12/13
  • Undying • 11/11/10 18:02
    Risorse umane - 7574 interventi
    Pasolini e la (non) violenza

    "In tutta la mia vita non ho mai esercitato un atto di violenza né fisica né morale. Non perché io sia fanaticamente per la non violenza. La quale, se è una forma di auto-costrizione ideologica, è anch'essa violenza. Non ho mai esercitato nella mia vita un atto di violenza né fisica né morale semplicemente perché mi sono affidato alla mia natura, cioè alla mia cultura."

    Pier Paolo Pasolini


    Fonte: Sex & Violence - Percorsi nel cinema estremo (pag. 313), a cura di Roberto Curti e Tommaso La Selva, Lindau edizioni.
  • Buiomega71 • 10/06/18 19:22
    Consigliere - 25998 interventi
    * Come lo stesso Quintavalle scrive nel suo libro, Pasolini era un continuo fermento di idee sul set di Salò, con improvvisazioni quasi giornaliere tra "buona la prima" e inquadrature più "ricercate" (che però, stando a Quintavalle, non facevano parte della sua personalità artistica) tra cui quella famosa e esaminata del binocolo nel prefinale. Pasolini provava un'invidia non troppa nascosta per Bernardo Bertolucci, che a pochi chilomentri dal set di Salò stava girando Novecento, secondo Pasolini un kolossal americano senz'anima pieno di attori hollywoodiani che una volta uscito tutti avrebbero dimenticato, mentre il suo Salò swarebbe restato nella storia. Un po' per un sentito tradimento che Pasolini imputava a Bertolucci, che aveva iniziato con esordi pasoliniani per poi prendere una sua strada autoriale indipendente allontanandosi da quel ristretto gruppo di intellettuali alla corte di Pasolini. Un po' perché Novecento - sempre prodotto dalla PEA di Grimaldi - aveva un budget stratosferico che soddisfava tutti i vezzi di Bertolucci, tra i quali la costruzione di una ferrovia in un campo, mentre Salò era più "poveristico e senza grandi sfarzi", girato in una villa che cadeva a pezzi (a sentire Quintavalle). Pasolini sputava astio anche su Ultimo tango a Parigi. Di questa amarezza pasoliniana Quintavalle racconta nella famosa partita di calcetto 900 contro 120, con la troupe del kolossal bertolucciano contro quella del sadiano lavoro pasoliniano che vide la sonora sconfitta, per ben due volte, della seconda con Pasolini in campo.

    Pasolini aveva appreso durante una cena con qualcuno della troupe di Novecento che Bertolucci studiava ogni minima inquadratura, ogni minimo dettaglio, mentre lui girava d'istinto, spesso improvvisando. Per non essere da meno, ma non avendo il talento né tantomeno la sensibilità di Bertolucci nel girare certe scene, tornato sul set di Salò Pasolini si mise a girare scegliendo inquadrature particolari e più "studiate" (tra cui, sembra, anche quella del binocolo) spiazzando il povero Tonino Delli Colli con "orpelli" visivi che non si confacevano con la poetica pasoliniana. Il girato aveva una portata titanica tale che ci vollero ben sei mesi per montare il film (senza contare le scene venute "male", parecchie cadute in sala di montaggio). Le riprese iniziarono nel febbraio del 1975 e si conclusero nell'aprile dello stesso anno (tra Mantova e Bologna). Il montaggio richiese altri sei mesi e si concluse nell'ottobre del 1975.

    Per Quintavalle il Salò era l'opera più controversa di Pasolini, che si era messo in uno stato di confusione inestricabile senza via d'uscita non sapendo se "punire" i carnefici per le loro malefatte o far prevalere l'amore assoluto dato da una bandiera comunista. Insomma, il lavoro gli era sfuggito di mano e non sapeva come chiudere un'opera tanto scellerata e assoluta nel ritrarre il male.

    I tre finali (im)possibili

    Pasolini già durante la lavorazione sul set elaborò due finali piuttosto (im)probabili (a sentire Quintavalle).

    Era in un periodo che vedeva tutto nero; angosciato, sfiduciato, schifato da quell'italia che non riconosceva più (così come i "suoi" ragazzi di vita), divorata da un irrefrenabile consumismo.
    Diceva che che la soluzione a tutti i mali era il comunismo e pensava di chiudere Salò con il dispiegarsi di una grande bandiera rossa che si stagliava sullo schermo con la scritta "E' amore".
    Quintavalle gli fece notare che un finale non dissimile c'era anche in Yellow Submarine (Pasolini odiava profondamente qualsiasi cosa avesse a che fare con gli stupefacenti, di conseguenza non prendeva nemmeno in considerazione il cosidetto cinema "lisergico" o "psichedelico" e l'idea di "travestire Stalin" da figlio dei fiori dà un ennesima conferma del marasma ideologico che albergava nel suo cervello", scrive Quintavalle). Giudicando tuttavia questa trovata poco convincente, Pasolini ideò un secondo finale: pensò di far ballare a tutta la troupe del film (tecnici, macchinisti) e alle vittime (ma non ai quattro carnefici) un boogie-woogie nella sala delle orge zeppa di bandiere rosse, per simboleggiare l'avvento di una nuova era.
    Anche per questa scena conclusiva Pasolini, si affidò all'improvisazione: si fece prestare le bandiere da una sezione vicina del P.C.I. e le appese nella stanza delle orge, ma si accorse ben presto che nessuno (sia nel cast che nella troupe tecnica) sapeva ballare il boogie-woogie tranne la sarta, che avrebbe dovuto dedicarsi all'insegnamento intensivo proprio nel momento di andare in scena. I ragazzi erano tutti scordinati nei movimenti e facevano solo una gran cagnara, sul set.
    Pasolini, pensieroso e perplesso, non era più convinto di quel finale e pensò di utilizzare quella scena (che pare sia stata effettivamente girata) in apertura difilm anzichè in chiusura.

    Quintavalle ribadisce ancora una volta che Pasolini pensava e creava partendo da quello che diceva di odiare. Faceva riferimento al finale simile della Montagna Sacra (e ritorna il cinema psichedelico tanto vituperato da Pasolini), opera che Pasolini diceva (o faceva finta) di ignorare completamente affermando di non conoscerla assolutamente.

    * Il terzo finale (che anche in questo sembrerebbe sia stato effettivamente girato, almeno stando alla precisa ricostruzione che ne dà Quntavalle) vedeva i quattro aguzzini lasciare la villa degli orrori dopo il massacro. Allontanandosi in automobile dalla villa degli abomini cominciavano con l'ultimo dei loro dialoghi ideologici. Così facendo pareva che fornissero una implicita difesa a Pasolini, dicendo che se qualcuno avesse voluto raccontare la loro storia atroce, tutti gli avrebbero dato addosso definendo infame e mostruoso il loro "operato" mentre, dopotutto, loro cosa avevano fatto? Avevano seviziato, torturato e ucciso una ventina di ragazzi, qualcosa di assai trascurabile in confronto agli stermini di milioni di persone che avvenivano in tutto il mondo. Ma le gente vuole stare con occhi e orecchie tappate e si sarebbe limitata a insultare chi avesse voluto ricordare, anche su un piano così limitato, gli orrori che nella realtà sono molto più grandi. Durante queste battute appariva, al di là dei finestrini della macchina in moto attraverso la campagna, un cartello con l'indicazione "Marzabotto", a sottolineare lividamente le ciniche risate con cui i quattro signorotti sadiani accompagnavano i loro ragionamenti. Ma anche in quetso caso il messaggio poteva risultare ambiguo: pareva riferirsi alla strage di Marzabotto, in cui era stato ucciso un numero limitato di persone rispetto ai milioni di milioni sterminati in quegli anni (quindi, seguendo il ragionamento di Pasolini, la cosa risultava di scarsa rilevanza): invece di essere un'azione preventiva in "sua" difesa per gli orrori che aveva raccontato, sembrava che, al contrario, giustificasse la strage di Marzabotto. Pasolini trovò comunque anche questo finale insoddisfacente.

    Secondo Quintavalle Pasolini aveva raccontato una storia ideologicamente difforme e si trovava nella situazione grama di non saperne più tirare le fila. Punire i fascisti avrebbe voluto dire condannare il proprio modo di vita e si trovava a essere identificato coi fascisti stessi.

    Era una confusione per lui inestricabile, senza via d'uscita, dopo le bandiere rosse, il boogie-woogie e le disquisizioni piuttosto ambigue.

    Adottò alla fine una soluzione di ripiego, dando un risvolto elagiaco a una scenetta concepita a tinte ciniche che aveva inserito nel prefinale del film (nel Girone del Sangue).

    Così Quintavalle la descrive: "Le torture e le uccisioni che concludono l'orgia avvengono in un cortile. A turno uno dei signori esegue, due lo assistono, e il quarto contempla da una finestra con un binocolo. Durante il mio turno di voyeurismo, due dei giovani marò, con me nella sala, ascoltando alla radio un programma di canzonette e, mentre io mi sdilinquisco, si mettono a ballare insieme, indifferenti a quell'orrore che succede intorno a loro"

    Secondo Quintavalle fu un episodio del tutto trascurabile di una scenetta nemmeno girata benissimo che ebbe però l'onore di assurgere a chiusa finale del film (il dialoghetto tra i due giovani militari :"Hai una fidanzata?", "Sì, si chiama Margherita" fu sovrapposto da Pasolini successivamente). Fu solo un espediente che non conclude l'azione del film né chiarifica in alcun modo il suo significato, come se Pasolini l'avesse "buttato lì" non sapendo veramente come chiudere tutta quell'orgia di sodomie, coprofagia, umiliazioni, torture e morte.

    Fonte: Estratto dal libro "Giornate di Sodoma - Ritratto di Pasolini e del suo ultimo film" di Uberto Paolo Quintavalle, Sugarco Edizioni 1976
  • Buiomega71 • 13/06/18 22:38
    Consigliere - 25998 interventi
    * Secondo l'assistente alla regia Fiorella Infascelli il clima sul set era angoscioso e opprimente e fu lei ad assistere le ragazze durante le scene più "forti": essendo una donna avrebbe "attenuato" la durezza delle riprese. Sul set si respirava un'aria "malsana", che Pasolini (e Bonacelli) stemperavano con ironia e il sorriso sulle labbra (per Bonacelli, alla fine, era soltanto un gioco). La Infascelli stette male due volte durante le riprese: una nella scena delle vittime a quattro zampe che si feriscono (buttando sangue dalla bocca) con i chiodi messi nel "mangime" (dove una ragazza si ferì veramente), l'altra nella scena del reclutamento delle ragazze. Durante le scene delle torture Pasolini era agitato, quasi sofferente, non riuscendo a tranquilizzare gli attori (ma soprattutto se stesso) e finito di girare correva in bagno accusando forti mal di stomaco. Secondo la Infascelli fu durissimo girare quelle scene raccapriccianti. Anche se Pasolini cercava (come poteva) di mantenere una certa freddezza, finite le scene dava delle occhiate allegre agli attori e alla troupe, cercando di smorzare quell'atmofera pressante e cupa. Pasolini ha girato tutto il film sempre stando in macchina e le scene delle torture le girò utilizzando due macchine da presa. Nella sequenza della tortura con il ferro incandescente contro il seno di una delle vittime, l'attrice "torturata" si ustionò veramente, nonostante le protezioni. Secondo la Infascelli la scena del boogie woogie (che doveva essere uno dei finali del film) è stata effettivamente girata ma, probabilmente, contenuta nei negativi rubati (al contrario di quello che scriveva Quintavalle, a ballare il boogie woogie era tutta la troupre, carnefici e Pasolini compreso) e afferma che suddetta scena non fu mai montata.

    * Secondo una delle attrici "vittime", Antiniska Nemour, Pasolini era riservatissimo e usava questo atteggiamento soprattutto con le vittime (mentre aveva parecchi contatti coi carnefici) per mantenere un certo "distacco", comunicando con loro attraverso i suoi assistenti. Per la Nemour gli attori che impersonavano i marò collaborazionisti dei carnefici si "gasavano" nelle scene delle torture; notava un compiacimento sinistro in loro, mettevano in soggezione le vittime e tutti si erano immedesimati nei loro ruoli assistendo a atti estremi e degradanti (tranne forse Bonacelli che manteneva sempre una sua solarità anche nelle scene più efferate). Secondo la Nemour alcuni ragazzi erano minorenni, ma Bonacelli smentisce. Anche la Nemour conferma che la sequenza del boogie woogie venne girata, e fu l'unico momento di allegria che smorzava la tensione accumulata durante le riprese, dove tutti ballavano e si lasciavano andare. L'attrice (e parecchi attori sul set) furono scioccati e disgustati quando Pasolini li fece camminare a carponi come dei cani legati con un guinzaglio. La Nemour dice che le riprese durarono ben cinque mesi (Quintavalle dice due, da febbraio a aprile 1975).

    * Bonacelli gustò con prelibatezza le feci durante la scena del banchetto (in realtà era cioccolata con i canditi!), risultando ancor più disgustoso sullo schermo. Bonacelli afferma che Pasolini esigeva da tutti gli attori un atteggiamneto mentale abbastanza libero, disponibile all'improvvisazione, all'adattabilità delle situazioni. Tra lui e Pasolini si stabilì un ottimo feeling e gli chiese "aiuto" per migliorare i giovani attori "presi dalla strada" che non riuscivano nemmeno a dire determinate frasi. Bonacelli era l'unico che non si sentiva coinvolto nelle situazioni (anche le più estreme); anzi, pareva divertirsi: per lui (che veniva dal teatro e conosceva il brechtismo) era solo recitare una parte. Bonacelli conferma che nessuno era minorenne sul set (al contrario della Nemour) e che c'era un'imbarazzo generale soprattutto quando erano in scena completamente nudi: qualcuno era più sfacciato, si creavano delle tensioni, dovendo ripetere una scena tre o quattro volte. Ogni qualvolta Bonacelli rivede Salò si commuove: sapeva già dall'inizio di far parte di un progetto importante di un grande autore che sarebbe rimasto per sempre.

    Fonte: Estratto dal libro fotografico Salò: Mistero, crudeltà e follia. Pasolini - Una testimonianza fotografica di Fabian Cevallos. Edizioni "L'erma" di Bretschneider 2005.