Fuori dalla Hammer quel che rimane è la paura Curioso, bizzarro, oscuro e parecchio sgradevole kammerspiel sordido e morboso, che assume i tratti di un
Teorema dai riverberi horror e metafisici, con uno Sting diabolico e scellerato, che pare una via di mezzo tra l'Alex di
Arancia meccanica e il Martin/Georgie dei
nervi a pezzi, che usa stratagemmi alquanto inusuali per abbordare le persone per strada (vieppiù uomini di mezza età), insinuandosi in case altrui con scopi non propriamente nobili.
Loncraine riprende le atmosfere decadenti del suo
Demonio dalla faccia d'angelo (come il ghigno di Sting) e realizza un'opera tra il grottesco, il teatraleggiante con tocchi disturbanti, quasi tutto girato in interni, fino a una chiusa surreale quasi "dickensiana".
Sottolineato dalle sonorità quasi gobliniane dello stesso Sting, questa pellicola che odora di zolfo e melassa (come indica il titolo originale) prende ben presto derive abbiette e avvolge in un clima ossessivo e parecchio malsano, dove Loncraine giostra con abilità questo gruppo di famiglia precipitato in un inferno.
Sting che non perde tempo (una volta rimasto solo in casa dopo essersi conquistato la fiducia assoluta della padrona di casa) a palpeggiare la ragazza inferma, tastandole i seni, ammirandole il corpo nudo e baciandola sulla bocca (con rigurgito, bocca a bocca, della pappetta), l'irreprensibile padre di famiglia che impreca sulle autostoppiste, ma poi fa i giochi erotici con la sua segretaria, un'attempata zitella ben poco attraente, Sting che si rimira narcisisticamente, indossando orecchini e guanti in pizzo, davanti allo specchio anticipando il Buffalo Bill del
Silenzio degli innocenti, bruciando le foglie in giardino abbrustolendo un povero uccellino con gratuito sadismo, mentre i due genitori litigano in cucina, Sting và ad "occuparsi" lascivamente di Patricia, fino a onirici inserti incubotici pararusselliani, con Sting che annusa mutandine, camerette che diventano l'anticamera dell'inferno e donnine sexy in reggicalze e tacconi che "cavalcono" in preda al delirio sessuale.
Pervaso da attimi di furore (la delirante preghiera paraesorcistica di Sting), e da pochi esterni plumbei, grigi e minacciosi, questa sitcom infernale può contare su un'ottima regia, un trio di attori in stato di grazia (ma anche Suzanna Hamilton è da menzionare, giovane e bella ragazza bloccata a letto in stato vegetativo che si lamenta continuamente, fino all'imprevedibile colpo di scena finale) e alcuni dialoghi davvero deliziosi (soprattutto quelli di Denholm Elliott, padre sospettoso-a ragione-e poco incline ad accettare i favori oscuri dello sconosciuto).
Meravigliosi i titoli di testa con il cast scritto su dei biglietti d'inviti che fuoriescono da un ruscello tra le foglie (che quando Loncraine allarga l'immagine si scoprirà cos'è) con sottofondo un coretto "natalizo" gradevolissimo che già proietta lo spettatore in quello che non sarà un film come tanti altri.
Non per tutti i gusti, ma decisamente ben poco convezionale e a suo modo originale.
Un regista che andrebbe rivalutato (almeno per questo e per quella "follia" che è
Riccardo III), in uno dei suoi opus più coraggiosi e antispettacolari, che, comprensibilmente, non ha riscontrato, all'epoca, i favori del pubblico.
Prima che Sting prendesse la parte luciferina di Martin, furono opzionati David Bowie e Malcom McDowell.
Sotto sotto
Il sacrifico del cervo sacro viene un pò anche da qui.