La macchina ammazzacattivi - Film (1952)

Commedia perennemente in bilico tra il fantastico e l'antropologico, resa curiosa da un trama quasi da Death note ante-litteram, con una macchina fotografica e una specie di Diavolo (che si spaccia santo patrono della città) al posto del libro e dello Shinigami. Il film risulta piuttosto farraginoso a causa di un ritmo che procede a corrente alternata (inceppandosi specialmente di fronte alle parti più descrittive), ma ogni tanto si ridacchia grazie a frammenti di indubbia simpatia e a personaggi macchiettistici ma azzeccati. Niente male.

Film minore di Rossellini, vicino al neorealismo nelle ambientazioni popolari e paesane (siamo qui in un borgo della costiera amalfitana), si discosta tuttavia dal movimento per via della matrice fantastica della storia, questa macchina-giustiziere che riesce a riscattare i poveri a discapito dei malvagi avidi borghesi. Un'allegoria dell'Italia degli anni 50 fra la devozione tutta popolare verso il patrono e la presenza sempre più invasiva e moderna delle macchine, in questo caso un apparecchio fotografico, miracoloso non meno del santo stesso.

Diretto da Rossellini, sembra in realtà un film in puro stile Zavattini (ma il soggetto è di Eduardo De Filippo e Filippo Sarazani). Il tono favolistico è infatti innegabile anche se non mancano tocchi comici (il morto nella bara di legno col braccio alzato) ed elementi realistici, soprattutto di critica verso la politica e la società del tempo: non è poco se si pensa agli anni in cui fu girato. Una delle opere minori del maestro che amanti del cinema d'epoca e completisti possono recuperare.

Quasi un film di fanta-neo-realismo, l'opera di Rossellini si presenta come una favoletta etica sulla corruzione morale e politica di alcune frange della società post-ricostruzione. Divertente e eccentrico nel panorama italiano anni '50 fatto di Raffaello Matarazzo e i romanzi d'appendice.

Parabola antropologica ove alle tipiche descrizioni neorealistiche di Rossellini - le scene di vita paesana e i suoi personaggi - si sovrappongono toni fiabeschi, invero piuttosto puerili e dalla morale scontata. La mancanza di una regia salda e coinvolgente non permette di conciliare le due anime del film, che nei suoi accenni all'Italia del tempo si sbriciola in un grigio bozzettismo, solo di rado vivacizzato da qualche riuscita coloritura (la tomba del poliziotto e la turista disinibita). Degli effetti si occupa Eugenio Bava, padre dell'immenso Mario: buon sangue non mente.

Il peggior Rossellini che io conosca. L'idea di base è interessante, non manca qualche tocco umoristico azzeccato (la bara con lo spazio per il saluto romano...), ma manca l'unità narrativa, specialmente nelle parti insopportabili con gli insopportabili turisti statunitensi. Recitato in modo troppo caricaturale, oserei dire anche maluccio (e spesso male da parte degli attori presi dalla strada). Finale con la redenzione del satanello Farfanicchio che lascia basiti.

All'epoca fu criticatissimo e Rossellini accusato di aver tradito l'idea neorealista. Invece è un piccolo ma garbatissimo film, che racconta di un mondo che sta scomparendo anticipando i temi della tecnologia invadente e degli americani che vogliono colonizzarci. Quasi una vacanza in apparenza, ma se lo si guarda con attenzione è una meditazione sul nostro futuro.

In un paese della costiera amalfitana, a un povero ed onesto fotografo viene fatto un dono alquanto particolare: una macchina fotografica che uccide i cattivi. Siamo molto lontani dal Rossellini che siamo abituati a conoscere, qui al servizio di un'opera che sa tanto di favola in cui il borghese avido e senza cuore viene punito dal buono in una sorta di giustizia divina in grado di riconoscere il bene dal male. Alcune cose sono molto simpatiche (la bara adattata al saluto romano), altre funzionano meno (gli americani). Un film che può fare storcere il naso ma che ha un suo perché.

Il giustiziere è un ingenuo fotografo che con la sua macchina fa fuori cattivi, arroganti e ipocriti. Favoletta magica simil-zavattiniana, ma con lo sguardo eduardiano sulle debolezze umane, qui descritte in un microcosmo paesano in cui si riflette una società italiana litigiosa ed egoista (e forse un’eco degli scontri politici). Ma il risultato è scarso: a parte la curiosità del regista sulla costiera amalfitana (con qualche appunto documentario para-etnologico), la commedia è caotica e poco incisiva: un’occasione sprecata.