Sparito dai radar da parecchio tempo (dopo varie messe in onda televisive a metà anni 80, soprattutto targate Rai), che si porta dietro un'aurea da cult movie "maledetto" (film della vita per Richard Rush, regista spesso poco incline a compromessi, che ha accarezzato il progetto per diversi anni, con una lunghissima lavorazione che si è protratta dal 1977 fino al 1978, per poi andare incontro a parecchi problemi produttivi, fino a essere "congelato" dalla Fox e vedere, poi, la distribuzione nelle sale solo nel 1980, costatagli due infarti e la messa al bando da Hollywood) che ha fatto impazzire la critica per il suo accostamento a certo cinema europeo (Truffaut se ne disse entusiasta, paragonandolo al suo
Effetto notte), così come viene elogiato dai vari
Mereghetti,
Morandini e (OVO)
Maltin di essere un film "unico nel suo genere e uguale a nessun altro", nonchè, all'epoca, candidato agli Oscar come miglior attore (Peter O'Toole), miglior sceneggiatura non originale e miglior regista ( il più accomodante e politicamente corretto Robert Redford soffiò l'ambita stauetta all'"anarchico" e scapestrato Richard Rush), infine ammantato da un "dietro le quinte" avventuroso e difficoltoso, che manco
Apocalypse Now (il dvd edito dalla
Anchor Bay presenta, tra gli extra, un documentario sull'incredibile backstage del film, realizzato dallo stesso Rush).
Personalmente prendo in esame il caso della montagna che partorisce un topolino.
Essì, perchè dopo un intro scoppiettante e freneticamente divertente (la fuga di Railsback braccato da due poliziotti, l'incontro/scontro con gli operai delle telecomunicazioni, sul ponte braccato dalla macchina vintage), accompagnato dall'orecchiabile OST di Dominic Frontiere, il film prende sempre più pieghe assurde e surreali, dove salta fuori l'ambizione parafelliniana di Rush, tra film nel film, un'eccesso di metacinema sempre più invadente, la commedia tumultuosa e "catastrofica" che si mangia gran parte del film (a volte tirato troppo per le lunghe, fino a diventare prolisso), con Peter O'Toole che fa Peter O'Toole (il regista che si sostituisce a Dio), logorroico ed egocentrico director di un assurdo e grottesco film sulla prima guerra mondiale, che si ispira a David Lean, ma che, alla lunga, diventa stucchevole e poco simpatico, dove la sua "creatura" è più importante della vita stessa, a discapito, anche, degli stuntman che lavorano per lui.
Metà action, metà commedia dell'assurdo, con buoni momenti intervallati a cadute di tono non indifferenti (inutile la storiella d'amore tra la Hershey e Railsback, per esempio, o scivolando nel ridicolo-volontario?- e nel cattivo gusto con la statuetta meccanica a carillon dell'orso "scopatore" con la fanciulla in altalena), fino ad un finale scontato che sà un pò di presa per i fondelli (sensazione che si avverte anche durante la visione).
Rush (invaso da furioso demone dell'ambizione) fa centro poche volte (il bordello felliniano, il manicomio con gli "zombie", i giornalieri e la bastardata che O'Toole gioca alla Hershey, i cadaveri dei soldati fatti a pezzi e sviscerati sulla spiaggia durante le riprese del film-le magie dei trucchi cinematografici presi per macabra realtà-, la Hershey invecchiata dal make up alle prese con un carabiniere(!) al cimitero, ballando il charleston sull'ala del biplano, l'auto d'epoca che affonda nel lago, i parapiglia e le esplosioni durante le riprese dell'improbabile film di guerra, la domanda tormentone che O'Toole rivolge a Railsback : "
Quanto era alto King Kong?", "
Un metro e cinquanta", metafora sul cinema e sulla sua illusione).
Forse è un mio problema, di non amare troppo certe pellicole indecise sul genere da prendere, che sbragano, poi, nella commedia logorroica con dialoghi asfittici quasi pre-tarantiniani, ma ho trovato più divertente, semplice e sincero
Collo d'acciaio di Needham, per dire, che nemmeno questa "follia" rushiana, troppo sopra le righe e con troppa voglia di "sfottere" (lo spettatore, il cinema stesso) per coinvolgere davvero.
Bellissisma e già bravissima la Hershey, straordinario (su tutti) lo sceneggiatore frustrato di Allen Garfield (attore che amo particolarmente e spesso sottovalutato), ottimi numeri acrobatici (c'è un che di circense altmaniano in alcuni riverberi), suggestiva la fotografia del grande Mario Tosi e non male la svolta "snuff", la morte in diretta, l'occhio della MDP che, impietosa, filma gli ultimi istanti di vita dello stuntman che muore affogato (ben prima delle teorie di
Cannibal Holocaust e de
Lo stato delle cose), l'ossessione del regista e del suo "occhio selvaggio", che non si ferma davanti a nulla per finire il suo film, film che deve "scioccare" e prendere a pugni nello stomaco lo spettatore (come dice lo stesso O'Toole), mettere la guerra alla berlina, così come il cinema e i suoi meccanismi (e la voglia impellente di Rush di mettere alla berlina quello che racconta, come succedeva con il poliziesco "buddy movie"
Una strana coppia di sbirri)
Al di là dell'originalità del progetto, della passione di Rush (si vede che ci ha messo anima e corpo), alcune prelibatezze volgari nei dialoghi parolacciari, dell'ottimo cast e dell'abile costruzione delle scene d'azione (anche se tutti stì biplani in scena mi hanno ricordato il cormaniano
Barone rosso), non ci ho trovato nulla di così rivoluzionario da gridare al cult movie.
Tra i dialoghi infiniti e bizzarri che costellano tutto il film, da segnalare almeno quello a tavola tra lo screenwriter (preso poco in considerazione) Garfield e il megalomane regista di O'Toole, riguardo il cut/uncut, dove Garfield è sicuro che i produttori taglieranno il film a O'Toole, lui, per tutta risposta, afferma con cinismo che ucciderà i produttori, li farà a pezzi e se li mangerà per cena, rincarando la portata con un "
come la prenderesti tu se i produttori direbbero che tua figlia stà meglio con le dita amputate?".
Una "presa in giro" ben rivestita ma che mi ha lasciato parecchi dubbi e ben pochi entusiasmi.
A proposito, quanto era alto King Kong?