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Commenti L'IMPRESSIONE DI MMJImpressione Davinotti

Scritto e diretto da Matteo Scifoni, l'ennesimo noir in salsa romana che tuttavia ha dalla sua una certa ricercatezza e – nonostante il titolo fuorviante – non la butta affatto in caciara. Anzi, si prende i suoi tempi, rallenta, non sale mai di tono e trova più di un momento riuscito grazie anche alla presenza di due attori piuttosto centrati: Michele Loi (Diele) è uno spacciatore, testa matta, da poco uscito di prigione, insoddisfatto come sempre della vita che conduce e che quando il suo principale, in una pizzeria egiziana, gli fa notare come stia tirando la fiacca, reagisce prendendolo a pugni.

L'ispettore Quinto Cruciani (Colangeli) è invece a otto...Leggi tutto mesi dalla pensione, pronto a ritirarsi in buon ordine, ma si caccia in una brutta situazione: chiamato dal suo superiore Bonanza (Tognazzi) a sorvegliare il succitato Michele da poco fermato ancora una volta dalla polizia, se lo lascia scappare prendendosi pure un colpo in testa. Pensione a rischio. Bonanza, infuriato, gli concede tre giorni per ritrovare il fuggitivo il quale, nel frattempo, cerca di capire dove fuggire e medita la fuga a Puerto Rico, fermato però dal solito boss (Franek) a cui deve molti soldi che non ha. Cerca conforto nella bella Zoe (Lapardhaja), una ragazza albanese muta che sbarca il lunario in un night, mentre Cruciani se la deve vedere con la giovane figlia (Greco) ritrovatasi d'improvviso senza casa.

In un quadro quindi piuttosto tipico, per le dinamiche del genere, si innestano i drammi personali dei due protagonisti, non esattamente due stinchi di santo visto che pure l'ispettore si fa di coca, beve alcol e ci fa intendere trascorsi non certo da poliziotto immacolato; tanto che gli incontri con il suo superiore sono in fondo i momenti migliori del film, con un Tognazzi esemplare nel ruolo e da Cruciani pure ricatattato. Meno centrate le parentesi sentimentali tra Michele e Zoe, con il primo che ricorda alla seconda quanto i sei mesi trascorsi insieme furono memorabili; per lei non è così, ma dell'affetto per Michele esiste. Più stereotipato ma comunque valido il Felix di Ivan Franek, gigionesco boss che minaccia Michele con sottile ferocia.

La vita è dura, Roma con le sue periferie grigie e il rifiuto di cartoline dal centro lo illustra perfettamente e la fotografia di Ferran Paredes offre chiaroscuri pregevoli. Non si può insomma dire che il film non svolga il proprio compito correttamente; gli manca semmai uno spirito più vivace in grado di smuoverlo da una scolasticità raramente interessante. Ciononostante ci si lascia volentieri accompagnare in quest'indagine nei bassifondi in cui i personaggi riescono a reggere il film sulle proprie spalle (più Colangeli in versione Harvey Keitel di Diele, che con la sua faccia da bravo ragazzo alla Ethan Hawke si fatica a identificare in un ruolo tanto negativo). Nulla di nuovo sotto il sole, è chiaro, e il filone è già ampiamente sfruttato; ma se conta tanti titoli vuol dire che con budget contenuti si riescono quasi sempre a confezionare prodotti in tema dignitosi, come in questo caso.

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TITOLO INSERITO IL GIORNO 30/08/23 DAL DAVINOTTI
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