Un architetto americano deve allestire una mostra antologica sull'architetto francese del Settecento Étienne-Louis Boullée a Roma. Verrà accompagnato da sua moglie. La trama lineare e semplice, le immagini spogie e senza "cura" non sembrano neppure del regista inglese. Eppure Greenaway riesce ugualmente a rappresentare una Roma che non di era mai vista al cinema. L'elemento geometrico dominante è la cupola che rappresenta anche il ventre materno, quindi la vita: ma anche la morte (il cancro allo stomaco dell'architetto).
"Il cinema è troppo importante per lasciarlo fare a chi racconta delle storie". E infatti Greenaway non racconta proprio nulla ma è questo il bello di questo film, talmente astratto e artificioso da risultare impossibile da sintetizzare in poche righe. Bellissime immagini e grandi musiche di Wim Mertens per uno dei migliori Greenaway tout court.
Il ventre quale luogo di gestazione e nascita, digestione e morte: il corollario dell’ossessione questa volta è l’allestimento a Roma di una mostra su Boullée, architetto specializzato in cupole, e la bulimia quale espressione organica dell’horror vacui. Come sempre in Greenaway l’accumulo di simbolismi non produce nuovi significati ma soddisfa più che altro un’urgenza enciclopedica. L’impressione generale è che la narrazione non proceda e i personaggi precipitino nell’allegoria. Luci di Vierny e musiche di Mertens agevolano la fruizione di un esercizio altrimenti troppo intellettualistico.
Architetto americano, malato di cancro, va a Roma con la moglie incinta per preparare una grande mostra su un architetto francese del 700. Nella città eterna, splendidamente ripresa in modo originale da Greenaway, il sogno eterno dell'architettura si sposa con la mollezza malata del corpo: tutto ruota attorno al ventre, quello malato e quello gravido, che richiama la forma della cupola. Insomma, una storia di simboli per parlare delle angosce di morte e della sete di vita e bellezza di ognuno. Belle le musiche di Mertens.
Eh, il Greenaway ossessionato dall'arte non è facile da digerire. Nonostante un attore simpatico (Dennehy), la cornice romana ripresa sotto più angolazioni e l'interessante parallelo arte/malattia, la storia ristagna più volte ed il dramma è appesantito da campi lunghi statici, dalla fredda fotografia e dalla permanente angoscia del protagonista. Gli altri personaggi non contano molto, riducendosi talvolta a macchiette.
Celebre architetto americano, a Roma per organizzare una mostra: mentre alla moglie gravida cresce la pancia, lui è tormentato da dolori di ventre e presagi di morte. Mai vista una Roma tanto turgida, con cupole a forma di poppe quasi oscene nella loro esibita rotondità, con marmo metafisico che si fa carne e carne che si corrompe e trasforma (in una nuova vita oppure in un tumore maligno). Dopo quello dell'esordio, il più bel film di un regista che talvolta irrita ma raramente risulta banale. Fotografia e colonna sonora superbe.
MEMORABILE: Il collezionista di nasi, il dialogo col medico, l'interrogatorio al commissariato
Architetto americano arriva a Roma per una mostra su Boullèe; il suo è un triplice viaggio: geografico, interiore (è colpito da una brutta malattia ma è convinto che la moglie lo stia avvelenando) e di identificazione con l'architetto in questione. Ha una consorte incinta e petulante ma è ossessionato dai ventri maschili. Una Roma meravigliosa, non solo da cartolina, fa da cornice all'intera vicenda. Greenaway firma uno dei suoi sublimi capolavori, cullato da una soundtrack eccezionale.
MEMORABILE: La fotografa all'architetto: "Le interessano soltanto i cazzi?", "No, mi interessano soltanto le pance" e lei: "Cos'è, una nuova zona erogena?".
Un Peter Greenaway stranamente narrativo (rispetto ad altri suoi lavori) ci regala questa pellicola ad alta gradazione architettonica. Infatti Brian Dennehy (che negli anni '80 riusciva a passare dai thriller di cassetta come FX a film alti come questo) è l'alter-ego contemporaneo dell'architetto visionario Boullèe. Una lenta discera verso gli inferi, verso il punto di non ritorno, a cui fanno da controcanto i rintocchi musicali di Mertens che fanno venire la pelle d'oca. Non spendo parole su Roma, mi ci vorrebbero migliaia di parole.
Greenaway è al solito più interessato alla forma ed a seguire le sue ossessioni quali
l'arte, il cibo (qui di meno) ed il sesso, piuttosto che alla storia. Lo spunto di partenza sarebbe anche interessante (così come qualche innesto documentaristico) ma alla fine la sceneggiatura si accartoccia su se stessa perdendosi in un'eccessiva verbosità ed in leziosismi assortiti. Un po' di noia potrebbe palesarsi. Roma è bellissima ed è impreziosita dall'ottima fotografia di Vierny. Interessanti musiche di Mertens. In definitiva non male.
Il film di Greenaway che più si avvicina alla sfera emozionale dello spettatore. Probabilmente perché l'idea di fondo è nata da un'esperienza personale del regista. In una Roma dai colori tra l'ocra e il bruciato, la parabola tragica di un architetto che insegue il sogno della vita, nella speranza che l'arte amata e a lungo studiata (nello specifico un misconosciuto architetto francese del '700) possa sopravvivere a lui mentre il suo mondo sembra crollargli addosso. Un film disperato, criptico, sincero, dove regista e uomo sembrano convivere.
Anche se sembra assurdo, "tratto da una storia vera". Greenaway rielabora il suo amore per Roma e il disagio provato durante un soggiorno nella città in un grande film, come al solito altamente allegorico. Nel calderone di temi rappresentati la circolarità dell'esistenza, la difficoltà dell'artista di fronte a un progetto apparentemente irrealizzabile, il rapporto fra uomo e architettura. Unica pecca una certa ampollosità. Grandi musiche: fra tutte spicca la bellissima "Struggle for pleasure".
Un medico, nonostante un aspetto giovane, trova un modo speciale e quasi filosofico per comunicare all'architetto di Chicago il suo destino. Una sfilata di celebri busti dell'antica Roma, tutte persone morte (destino comune) non sopravvissute alle loro ambizioni. L'ombelico dell'architetto è il centro del mondo - per lui naturalmente - in una Roma da applausi agli illustri predecessori (architetti) a cui sempre si fa riferimento. Inizio confuso per arrivare a metà film con interesse crescente e divagazioni sessuali anonime. Finale in calando.
L'interesse artistico di Greenaway va a braccetto con il soggetto del film, basato sulla malattia e follia di un architetto americano a Roma, lì per allestire una mostra su Boullée. Regia e sceneggiatura finiscono quindi per crogiolarsi in un banchetto di arte e sesso, sesso e arte, che risulta curioso e a tratti anche affascinante, ma in un'ultima analisi fine a se stesso, narcisista e prettamente estetico. Può entusiasmare gli appassionati, ma per tutti gli altri c'è da mettere in conto la noia. Molto interessanti le musiche.
Architetto americano giunge a Roma per allestire una mostra. Greenaway punta su una certa carnalità tra tradimenti, dolori addominali, pance architettoniche e gravidanze. L'obiettivo non viene centrato in quanto Dennehy ha poco spessore e le sottotrame interessano poco (anche le ruberie dei fondi sanno di scontato); pure il finale sa di schematico. I capolavori di Roma sono ovviamente bellissimi e il regista si fa notare in qualche ripresa simmetrica con connotazioni cromatiche rosse. Buone le musiche.
MEMORABILE: Seduti con dietro l'Altare della Patria; Il tradimento dal buco della serratura; Il taglio del nastro alla mostra.
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Zender, peccato aver trovato chiuso già da diversi mesi l'accesso ai propilei e al colonnato,per lavori di restauro;
mi prefiggo di tornarci semmai lo riapriranno al pubblico,come in passato.
Zender il terrazzo è nei pressi del Vittoriano, ma fa parte dei giardini della piazzetta panoramica adiacente l'entrata al comune di Roma, non è una location unica...
DiscussioneZender • 16/03/13 18:31 Capo scrivano - 47854 interventi
Ok, ho corretto la descrizione. Il post resta uno però, è lì alla base.
Direttamente dall'archivio privato di Buiomega71, il flanetto di Tv Sorrisi e Canzoni della Prima Visione Tv (Ciclo: "La Rai e il cinema italiano, lo spettacolo delle emozioni", martedì 23 luglio 1991) di Il ventre dell'architetto: