Proprio il tipo di film che dovrei detestare a prescindere (la saggezza dell'uomo che ne ha viste troppe dalla vita e si rinchiude nel suo mondo tranquillo, con una calma e una virtù da pacifista contro ogni tipo di violenza), ma che in realtà è un opera intensa, pacata, mesta, dove la lentezza del narrato ne è valore aggiunto.
Un gigantesco Peter Fonda (non per nulla, all'epoca, candidato all'Oscar come miglior attore) è Ulee, un apicultore che deve badare alle sue due nipotine (tra cui un inquieta Jessica Alba alla sua prima esperienza davanti alla MDP), e che vive solo per le sue api (interessante come il film assuma i tratti di un pregevole documentario sull'estrazione e la lavorazione del miele quando Fonda si dedica al suo lavoro che "nessuno vuole più fare") e soffre di terribili mal di schiena (deve sdraiarsi sul pavimento per trovare sollievo), vedovo inconsolabile (ma l'arrivo di una vicina di casa darà di nuovo luce alla sua vita) con una famiglia disastrata sulle spalle.
Una vita all'apparenza tranquilla, monotona, riservata, di normale quotidianità, finchè i guai bussano alla sua porta (il figlio in carcere, la nuora drogata marcia, due balordi a caccia di una sacca di soldi sporchi nascosti negli acquitrini della palude silenziosa) e Ulee deve risolvere la spiacevole situazione al più presto, per salvare e tenere unito quello che resta della sua famiglia, senza ricorrere alla violenza.
Impreziosito dalla fotografia di Virgil Mirano e dagli scorci della provincia dello stato della Florida (tra autostrade, bar, paludi, distributori di benzina e cieli al tramonto) è un pregevole ritratto dell'america del sud, dove Fonda rimane ancorato ai valori tradizionali da uomo di vecchio stampo.
Il regista di origini peruviane narra con pacatezza e maturità, sensibilità e estremo realismo (vedi il prefinale, che sembra sfociare in un "survivor movie" notturno in mezzo alle paludi, dove Nunez , però, sceglie soluzioni narrative più placide e quiete, senza servirsi della violenza) una storia ordinaria all'apparenza, ma che diventa , man mano, una nostalgica ballata.
Sospeso in un limbo rarefatto, ma che dispensa, al contempo, forti emozioni (le crisi violente di Helen che sembra posseduta e legata al letto, l'home invasion, Ulee che si reca ad Orlando, Ulee che accompagna i due balordi alle paludi, il calcio alla pistola, la coltellata nella schiena) e dove anche l'happy end , per una volta, scalda il cuore.
C'è la maturità dell'ultimo Eastwood in questo dimenticato e poco citato piccolo film indipendente (presentato da Jonathan Demme), assolutamente da riscoprire.