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Commenti L'IMPRESSIONE DI MMJImpressione Davinotti

Regista fallito con alle spalle due soli film e di scarso successo, Mario Ferrari (Massasso) sogna di riuscire col terzo a realizzarsi; ma quello che ha in mente (un gruppo di suore che fanno il girotondo davanti alla torre di Pisa) non sembra davvero possa portarlo a sfondare. E difatti, non appena consegna la sceneggiatura a un produttore suo conoscente, la risposta è piuttosto prevedibile: "Cambi genere... come le dicevo la gente vuole qualcosa da vedere; nella sua sceneggiatura non si vede nemmeno un culo, e i culi sono importanti... lei ha scritto la storia di una suora... e a noi che ce ne frega di una suora?" Pane al pane, vino al vino: Mario deve fare buon viso a cattivo gioco, ma dentro gli...Leggi tutto rode... e quando conosce la figlia del produttore, una bella ragazza vissuta ad Amsterdam e dall'accento straniero (Martinkova), se la porta prima al ristorante e poi nel suo capanno in spiaggia promettendole un ottimo whisky (si rivelerà essere il solito J&B, qui in accoppiata con l'amaro Montenegro in sostituzione dell'usuale Fernet). Una volta lì di fatto la sequestra (anche se lei non sembra prendersela troppo...), incatenandola alla branda. Un soggetto che si potrebbe scrivere su un tovagliolo, ma come sempre in Damiani contano le parole, le frasi, le considerazioni di un protagonista riflessivo come non mai, i suoi rapporti con l'altro sesso e col suo lavoro, con la madre e con le sue donne, col produttore becero e la di lui figlia. Un approccio maturo, scambi e dialoghi talvolta anche profondi, non banali, che però si alternano a momenti in cui non accade nulla, in cui a Damiani sembrano mancare quei raccordi che sappiano rendere davvero omogeneo il film. Soprattutto nelle scene sulla spiaggia si avvertono una ripetitività e una stanchezza che rendono la vicenda faticosa da seguire, immersa com'è nella profonda malinconia che attanaglia visibilmente il protagonista, frustrato da una situazione che a dire il vero non è certo nuova per il cinema (e che tale non dev'essere nemmeno per Damiani, facilmente sovrapponibile al suo alter ego sul set): il conflitto tra il produttore che pretende il film commerciale e il regista che si abbassa a pensare a qualcosa in grado di accontentarlo imprecando contro la povertà intellettuale dello stesso ha dato vita spesso a lavori simili. Damiani sagoma il carattere del suo Mario Ferrari mettendolo in contatto con la prosaicità dei tempi (l'amico fotografo che fa notare come ormai le donne nude compaiano in ogni pubblicità), con l'affetto di una donna che lo ama ma per la quale prova scarso interesse, con quello di un'amica che ha tentato di sfondare nel cinema senza riuscirci, con la pagina bianca della macchina da scrivere che per reazione avrebbe voglia di riempire solo di beceraggini. Poi il finale inaspettato, il colpo di scena feroce sul quale si “spengono” brutalmente le immagini e la pagina stessa. Sul fondo proprio il titolo del film: “La regia è finita!”. Il cinema di Damiani è ancora una volta fatto di parole, dette e pensate, di un'amarezza e una disillusione che sembra difficile non leggere come vicine al regista stesso. Sono opere dal budget risicatissimo, altalenanti, sicuramente distanti da quanto si è abituati a vedere, lente eppure capaci di lasciarti sempre qualcosa dentro.

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TITOLO INSERITO IL GIORNO 2/12/16 DAL DAVINOTTI
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Markus 27/06/17 14:21 - 3695 commenti

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Elucubrazioni mentali di un regista fallito nel pieno degli Anni Settanta. La semi-sconosciuta opera di Amasi Damiani trasporta lo spettatore nel turbine del nulla o quasi; tenta goffamente di creare empatia tra spettatore e protagonista ma il risultato è quantomeno discutibile. La virata, nella seconda parte, in una specie di noir non aiuta, anzi... peggiora la situazione. Tra gli sguardi vitrei di Aldo Massasso, bottiglie di J&B e mille sigarette, si assiste al dramma del regista. E non solo in senso figurato.

Panza 19/09/17 10:48 - 1851 commenti

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Ancora un regista in cerca di lavoro per Damiani che nel protagonista, uno sperso Massasso che si aggira fra vari personaggi, carica molta amara disillusione sulla difficoltà di esprimere la propria arte senza dover compiacere il pubblico e i produttori. Più parole che azioni in uno stile tipico dell'epoca da parte del dimesso protagonista, che esprime alcune riflessioni interessanti e purtroppo ancora attuali. Il ritmo eccessivamente "rilassato" e un certo calo nella seconda parte penalizzano alcune centrate idee di Amasi Damiani.
MEMORABILE: L'incontro con la madre; La parentesi con la Hedman.

Fauno 29/01/22 20:06 - 2216 commenti

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Gli intenti e le idee non mancano, ed è superba quella di lottare per concetti più puri e meno sboccati onde salvaguardare l'arte cinematografica; e anche la scelta del personaggio, che fuma quaranta sigarette al giorno con lo stesso sguardo e con qualsiasi esemplare di sesso opposto (dalla madre alla figlia del produttore) al suo fianco a cercare di alleviargli la pena, è valida. Ma 1h 41' sono troppi per esprimere un concetto che seppur forte non spazia (e manco deborda) verso una risposta alternativa e concreta, e anzi, la più banale delle ingenuità va a ridicolizzare il tutto.
MEMORABILE: Il lasciare l'accesso del rifugio-laboratorio aperto al pubblico (!?); L'accento meridional-zozzone del produttore; La scena d'inizio del film hard.

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  • Discussione Fauno • 29/01/22 20:07
    Contratto a progetto - 2744 interventi
    Gli ultimi 5 minuti sono molto più comici che drammatici.