Schlöndorff non pervenuto, o meglio, dell'autore de
Il tamburo di latta non cè traccia alcuna (quì al suo secondo film americano) e come scrive, giustamente, la recensione di
Ciak del luglio 1988, il regista tedesco sceglie un ambiente che non le appartiene (il razzismo e le vessazioni da parte dei bianchi sui neri del profondo sud della Louisiana), restando a guardare senza incidire, senza dire nulla che non si è già visto in mille altri film sull'argomento (in primis, o meglio il referente più vicino, sembra essere
Tick...tick...tick esplode la violenza di Ralph Nelson, con l'odio raziale che monta poco a poco, i bianchi contro i neri e lo sceriffo di mezzo), realizzando un film dallo stampo teatrale in "plein air (sempre usando le parole della recensione di
Ciak) e pesantemente letterario, che scivola addosso come acqua fresca, zeppo di clichè, di impegno civile assai banale e scontato, di una violenza annunciata ma che non arriva mai, di un buonismo e di un politicamente corretto irritante e difficile da accettare dal regista de
Il racconto dell'ancella, e, soprattutto, il fatto che, alla fine, non succeda nulla, se non lo sguardo antropologico (e un pò sterile e distaccato) di un regista tedesco in Lousiana, più interessato ai volti scavati e rugosi dei vecchi negri che nemmeno alla storia che dovrebbe raccontare.
Un bianco razzista (figlio di un propietario terriero) viene ucciso (per leggitima difesa) da un nero (dopo un incipit che manco i campi di granturco di
Grano rosso sangue). Un odiosissima e insopportabile Holly Hunter decide di proteggere l'uomo di colore facendo radunare tutti i neri più anziani ( e anche un pò rincoglioniti) della zona, armati di fucile, che si autoproclamano tutti autori del delitto. Lo sceriffo (un immenso Richard Widmark) non riesce a convincere quello sparuto gruppo di sostenitori (da antologia quando ne chiama alcuni per farsi dire la verita e gli schiaffeggia quando questi mentono), incalzati dalla Hunter a restare uniti. Intanto il propietario terriero a cui hanno ucciso il figlio medita vendetta e, nella sua casa, si riunisce con i suoi accoliti (di famiglia o meno) per decidere una spedizione punitiva contro quel gruppo di negri, con l'opposizione del secondogenito, promessa del football e deciso a porre fine alla "guerra" raziale.
Ma più si va avanti più il film si sgonfia in nulla, con i vecchi negri che rivendicano le loro umiliazioni, le persecuzioni del passato e le violenze perpetrate dall'uomo bianco, i soliti scalmanati razzistoni in pick up che cercano vendetta (per poi finirla in un niente di fatto), sentimentalismi d'accatto, mesti ricordi e la manfrina buonista del "siamo tutti fratelli", senza sporcarsi le mani, senza colpo ferire, senza nerbo, senza un briciolo di cattiveria o qualche barlume di emotività.
Non basta un ottimo cast (Widmark giganteggia nel ruolo del cinico sceriffo vestito di bianco), le assolate e afose location della Lousiana e la suggestiva fotografia di Edward Lachman a risollevare le sorti di questa ballata antirazzista, se, alla fine, vengono a mancare totalmente le emozioni e il tutto si reduce a un compitino scolastico affossato nell'anonimità che non lascia traccia di sè.
A questo punto meglio ripassarsi
Mississippi Burning.