I colonnelli del cinema italiano

10 Marzo 2008

Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, nel periodo di massima popolarità (che coincide con l’epoca d’oro del cinema italiano, gli anni 60) hanno ricevuto l’appellativo di colonnelli, ovvero di nomi capaci di donare notorietà e probabile successo ai film da loro interpretati. Questo appellativo tuttavia è stato e va inteso anche in senso paradigmatico: in altre parole ognuno di questi attori, attraverso i ruoli interpretati nei film più famosi (e quasi sempre i migliori) ha portato sullo schermo un aspetto peculiare dell’italiano medio (a loro) contemporaneo, o per lo meno sono stati percepiti in tal modo.

VITTORIO GASSMAN

Occorre in primis una precisazione storica: la fine della seconda guerra mondiale e la volontà di buttarsi alle spalle una tale esperienza porta, anche grazie alla straordinaria voglia della popolazione di ricominciare, da una parte a credere in quello che sarà denominato il miracolo economico, dall’altra a una voglia di dimenticare un’esperienza tragica, intrisa di pericoli di morte e cibo razionato. 
Paradigma di questa esigenza può essere considerato il Vittorio Gassman/Bruno Cortona de Il sorpasso: sbruffone, superficiale, ha solo voglia di godersi l’estate del boom, fatta di macchine rombanti, conquiste e soldi facili, con questo dimostrando la voglia di considerare chiusa un’epoca che si vuole dimenticare forse anche per vergogna (la connivenza del regime fascista con i nazisti e le persecuzioni razziali), rifiutando però di riconoscere che forse una maggiore riflessione sulle proprie scelte lo avrebbe esposto alla lunga a minori delusioni (la moglie e la figlia lo vedono sostanzialmente come un fallito e non tengono minimamente conto della sua volontà).

ALBERTO SORDI

Speculare ed insieme complementare, nello stesso periodo acquista il successo definitivo Alberto Sordi, il quale tuttora viene considerato l’arcitaliano (al punto che ancora in vita Sordi stesso volle celebrarsi  in un programma che mescolava storia d’Italia e spezzoni di suoi film).
A differenza di Gassman, che grazie alla conformazione atletica e per indole personale si presentava come chi esterna tutto travolgendo l’ambiente circostante e nascondendo drammi e contraddizioni interiori sotto una scorza spessissima, Sordi viene considerato il campione dell’ambiguità e dell’ipocrisia, quando non proprio del doppiogiochismo.
L’italiano (spesso il romano) delineato da Sordi vuole non tanto dimenticare, quanto ricavare il più possibile dalla congiuntura fortunata nella quale si è trovato, vivere la propria maturità. Ma mentre il personaggio gassmaniano per raggiungere lo stesso scopo tende ad “intortare” il prossimo con la prestanza fisica, l’eloquio forbito (a volte ridicolo, si ricordi a tale proposito l’Ing. Santenocito di Il nome del popolo italiano) e le vanterie, l’italiano sordiano sa utilizzare abilmente le apparenze: è cattolico (lo vediamo andare in chiesa prima del turno ne Il medico della mutua), attaccato alla mamma (stesso film, anche se non esiterà a sbarazzarsene in un episodio de I nuovi mostri quando questa sarà di peso in casa), di solito è regolarmente sposato. Insomma, apparentemente un individuo irreprensibile. Peccato che si tratti di un moralismo di facciata (e difatti ne Il moralista il politico protagonista avvia un giro di prostituzione) e spesso e volentieri il protagonista mediti di far sparire la moglie (memorabile a questo proposito il protagonista de Il vedovo).
Evidentemente questa identificazione a Sordi è andata bene fino ad un certo punto: se da una parte  lo stesso uomo Sordi ha alimentato con i suoi comportamenti personali leggende che hanno corroborato il personaggio cinematografico (non si è mai sposato, religiosissimo, fama di avaro), in ultima analisi quando decide nel periodo di massimo successo di mettersi dietro la macchina da presa è convinto di poter  fustigare i (secondo lui) decadenti costumi sociali: ecco allora  film come Amore Mio Aiutami o Io so che tu sai che io so, elogio della famiglia come nucleo fondante della società. Ma si tratta di tentativi solo parzialmente riusciti, sia a livello di tecnica registica quanto soprattutto a livello di messaggio recepito: il pubblico non accetta di farsi dare lezioni di morale  da  un soggetto (sia pure sublime protagonista di Una vita difficile) che si dimostra un celibe convinto e che vive in una grande casa accudito dalle sorelle e continua a ridere del personaggio meschino e arrivista che si rialza con furbizia e agilità da tutti i rovesci della fortuna (Dott. Prof. Guido Tersilli...).

UGO TOGNAZZI

Chi invece non si fa molti problemi, interessato com’è a questioni ben più piacevoli e concrete, è la parte di italiano descritta da Ugo Tognazzi.Va dato atto che Tognazzi è colui che fra i colonnelli  ha avuto il coraggio di interpretare personaggi veramente sgradevoli quando non ributtanti (valga per tutti il marito de La Donna Scimmia di Ferreri), complice anche a parere degli addetti ai lavori (ad esempio Goffredo Fofi) un carattere accomodante e un vero attaccamento alle donne e alla cucina. 
Per l’analisi che ci interessa, l’italiano di riferimento di Tognazzi è un  piccolo o medio borghese, con connotazione regionale padana generalmente già arrivato, che se ne frega apertamente degli altri (celebre il personaggio del padre nell’episodio iniziale de I mostri) e che pensa solo al proprio piacere, di solito rappresentato da una ragazzina in fiore che può fargli rivivere una stagione ormai passata (La voglia matta, La bambolona). Di solito questi personaggi non raggiungeranno la meta agognata; oppure, se ciò avviene, si tratta di un breve momento pagato a prezzo molto alto (il ragioniere di Venga a prendere il caffè da noi si consuma per accontentare quattro donne). La realtà è tornare poi alla normalità se non ad uno squallore vissuto però con molta nonchalance, a volte a scrocco dell’ambiente circostante (come non ricordare a tale proposito il Mascetti di Amici miei), e chissà che non si ripresenti un’altra occasione….

NINO MANFREDI

Infine il quarto colonnello: Nino Manfredi, il quale si può pur con una certa approssimazione definire il lato contadinesco dell’italiano, quello ancora più legato ai valori della terra e quindi il più istintivo e forse il più genuino agli occhi del pubblico. 
Ad onor del vero va detto che Nino Manfredi non si può proprio definire un burino come il suo celebre barista di Ceccano lanciato a Canzonissima: l’attore è laureato in giurisprudenza e frequenta l’accademia di arte drammatica, e tuttavia riesce a far vivere  personaggi “sempliciotti”, buone paste d'uomo, magari temporaneamente induriti dalle circostanze ma ai quali all’occorrenza i sani principi con cui affrontare le avversità non mancano: in chiave parodistica ricordiamo l’innamorato di Straziami ma di baci saziami, mentre interpretazioni più complesse sono invece il povero emigrante di Pane e cioccolata e soprattutto l’idealista Antonio di C’eravamo tanto amati. Persino nella buona prova (anche registica) di Per grazia ricevuta Manfredi riesce a porre con semplicità, in ambiente campestre, domande potenti sulla fede e i miracoli.

A margine: MARCELLO MASTROIANNI E MONICA VITTI

Ho tralasciato di proposito di parlare di questi due attori per vari motivi. Mastroianni, per quanto forse più connotato dell’aura di divo rispetto agli altri nomi citati, non si può veramente definire un colonnello, visto che Gassman, Tognazzi, Sordi e Manfredi consolidano ciascuno la propria posizione di supremazia nell’ambito della commedia (genere deputato in Italia a smascherare vizi e debolezze della società dalla commedia greco latina in poi) passando per le macchiette ed i nonsense di Ettore Petrolini. Mastroianni invece si afferma nelle commedie degli anni 50 in coppia con Sophia Loren (Peccato che sia una canaglia), ma negli anni che qui ci interessano non si dedica solo alla commedia; lavora in opere “serie” (vedi Le notti bianche, di Visconti) e diventa l’alter ego di Federico Fellini (8 e ½) ritornando solo occasionalmente alla commedia pura (Ieri oggi e domani, Matrimonio all’italiana, sempre in coppia con la Loren). 
Per l’analisi che qui si svolge, Mastroianni non è mai stato percepito come un italiano inquadrabile nei clichés delineati per gli altri colleghi: si tratta di uomo pigro, sornione, evidentemente molto contento di fare un mestiere come quello dell’attore che lo diverte e lo fa guadagnare (oltre che conoscere bellissime attrici di cui si innamora alimentando il gossip), ma soprattutto è capace di passare a ruoli diversissimi fra di loro: dal prepotente Mimì Soriano di eduardiana ascendenza al rappresentante letteralmente allupato durante lo spogliarello della prostituta, passando per l’ectoplasma galante di Fantasmi a Roma, in ultima analisi Marcello Mastroianni è quello meno inquadrabile come stereotipo, il che ne ha favorito anche la carriera al di fuori dei confini nazionali (tratto che unico lo accomuna a Tognazzi e lo distingue dagli altri due).
Per quanto riguarda Monica Vitti, è l’unica attrice che, passata dalle pose intellettuali dei film di Antonioni alle commedie di costume, riesce a tenere testa al protagonista maschile costruendo efficaci coppie comiche anche se, ad onor del vero, l’effetto trascinante è costituito il più delle volte da batoste vere o virtuali che si prende dal compagno di turno (Amore mio aiutami, Dramma della gelosia, L’anatra all’arancia). Il problema è che da sola (Ninì Tirabusciò) non riesce a convincere completamente: troppo roca, troppo indipendente... insomma, troppo visibile come tipica donna italiana.

... E OGGI?
Con la crisi del cinema italiano anche i colonnelli devono fare i conti con cambiamenti giustificati dall’età che avanza e dall’arrivo di nuove leve: se Sordi, come già detto, continuerà  a perseguire una deriva moralistica francamente fuori tempo (Il tassinaro, Nestore l’ultima corsa), Gassman alterna crisi personali ad interpretazioni di spessore (La terrazza, La famiglia) a ritorni alle origini (La Divina Commedia in televisione, lo spettacolo teatrale Ulisse e la Balena Bianca); Manfredi, dopo l’exploit del Pinocchio televisivo, si dedicherà alle fiction. Tognazzi e Mastroianni appaiono gli unici in grado di confermare con una certa genuinità il proprio personaggio fino alla scomparsa (Sostiene Pereira, Ultimo minuto, occasionali lavori teatrali).

A modesto parere di chi scrive, l’unico erede al momento dei quattro colonnelli è Carlo Verdone, che propone un certo personaggio di italiano ovviamente al passo con il sentire del tempo. Tralasciando le derive grottesche del burino alternativamente dal cuore d’oro o coatto e del pignolo ossessivo, la maschera di italiano tratteggiata da Verdone è facilmente connotabile: si tratta di un italiano della borghesia medio alta che i genitori hanno fatto studiare, privo dei grandi ideali del dopoguerra che bene o male costituivano un punto di riferimento nel passato; il boom si  è trasformato in una corsa a produrre sempre di più che lo nevrotizza e lo rende insicuro nei confronti della propria salute, conosciuta meglio rispetto ai nonni 
(cosa che in precedenza avveniva solo in caso di malattia conclamata, vedi ancora Il Medico della Mutua), ma soprattutto, e qui sta la novità, lo rende fragile nei confronti della donna, che dai ceffoni del marito è passata attraverso le lotte femministe ad una certa autoconsapevolezza che invece manca al maschio passato per le stesse esperienze del 68 ma non ancora pronto per una perfetta parità dei sessi: da qui la sconfitta del protagonista in Un sacco Bello, fino ad arrivare agli scompigli di Io e mia sorella, Maledetto il giorno che ti ho incontrato, Perdiamoci di vista.
Nell’ultimo periodo Verdone ha da una parte approfondito le ragioni della crisi di coppia (Stasera a casa di Alice, L’amore è eterno fin che dura, Ma che colpa abbiamo noi), dall’altra ha riproposto una sua idea di cinema “sociale” con l’evoluzione dei personaggi dei primi film (Viaggi di Nozze, l’ultimissimo Grande, grosso e Verdone), con questo connotando ulteriormente rispetto ad altri registi il personaggio dell’italiano tipico del XXI secolo.
 
ARTICOLO INSERITO DALLA BENEMERITA GUGLY  

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commenti (1)

RISULTATI: DI 1
    Funesto

    8 Giugno 2010 19:59

    Ehi! Ma hai scordato il colonnello Narciso Fiaschetta, Renzo Montagnani coi suoi aaaddiiiiiomiiiiio!
    XDXD comunque bell'approfondimento. Curioso ed interessante.