Se si vuole capire cosa significhi una regia che mescoli magistralmente ingegno, splendore, eleganza e raffinatezza visiva, questa è la pellicola adatta. Ma a colpire non è solo l'aspetto stilistico ma anche quello contenutistico, qui a dir poco coraggioso: nel 1950 parlare liberamente di desiderio femminile, sesso ma soprattutto impotenza (anche di un militare) era davvero tanto. Fustiga inoltre l'ipocrisia borghese, e non solo borghese, sulle questioni di letto. Walbrook gran maestro di danze è di impagabile bravura, così come tutto il resto
del ricchissimo cast. Capolavoro.
MEMORABILE: Walbrook "regista" che autocensura il film tagliandone una parte scabrosa al montaggio.
Bozzetti erotico-amorosi su dieci coppie nella Vienna inizio '900. Rientrato in Francia dopo l'esperienza americana, Ophüls utilizza la traccia del diletto Schnitzler per un girotondo-capolavoro, in cui lo stile caleidoscopico, rutilante ma perfettamente geometrico, supporta una trama "bulle de savon" in cui un episodio si intreccia all'altro grazie al conduttore del gioco (Walbrook). Dominante tematica: l'impulso sessuale e il tentativo di velarlo con le ipocrisie sociali. I migliori attori francesi del periodo per una Giostra vertiginosa. Salite su!
MEMORABILE: La scena dell'autocensura preventiva, in cui Walbrook taglia un pezzo della pellicola; Tutto il piano sequenza dell'episodio Gelin-Darrieux.
Peccato che rispetto all’originaria pièce di Schnitzler sia stato inserito un demiurgo metafilmico che trasforma l’erotismo in un girotondo sdolcinato, da ballata senza grinta. A parte questo, siamo di fronte a un capolavoro di eleganza cinematografica, dove la cinepresa partecipa con maestria alla giostra degli incontri amorosi che si susseguono sotto l’occhio bonariamente cinico dell’autore. Un film incantevole, che racconta solitudini e incontri effimeri cercando la poesia nella malinconia. In una coralità impreziosita da grandi attori.
La giostra gira, e con essa effimeri idilli amorosi collegati circolarmente a catena in dieci brevi episodi che svelano che come causa prima delle varie manifestazioni dell’amore romantico e cortese sia, in verità, il puro istinto sessuale; opera senz’altro moderna, che ha l’ardire di affrontare temi difficili e scottanti come l’adulterio e l’impotenza maschile. La regia di Ophüls è fresca e compatta, agevolata dalla figura del maestro di cerimonie – narratore onnisciente ed espediente metacinematografico – e dalla sfarzosa ambientazione in una Vienna belle époque.
Inizia con un'introduzione (per la verità un po' prolissa) di Walbrook, maestro di cerimonie che risulterà poi più simpatico nelle sue apparizioni tra un "letto" e l'altro. In questa ronda sessual-amorosa, dove si evidenzia come il piacere del sesso si sublimi con l'innamoramento, anche se solo simulato, le donne (che novità) sono le vere maestre. Siamo però all'inizio del Novecento, quando, assieme alle varie etichette, l'eleganza la faceva da padrona. Donne più o meno velate, fasciate in abiti che accendevano la fantasia (e la libido) maschile.
MEMORABILE: Le carrellate tra veli e ornamenti, per seguire dame e cavalieri.
Dieci coppie concatenate in un intreccio circolare, condotto da un narratore elegante ed ironico voluto dal regista per condurre la giostra creata da Schnitzler. Altrove fra i massimi cantori della profondità dell'amore, Ophüls ne mostra qui il lato effimero (gli incontri di una notte, dettati dal desiderio) e superficiale (le relazioni destinate ad esaurirsi per noia o distrazione, il matrimonio ridotto a legame di convenienza). Dietro l'apparente leggerezza della messinscena, una visione pessimista dei rapporti fra uomini e donne, venata di malinconia e non disgiunta dall'umana comprensione.
MEMORABILE: Il dialogo notturno fra i due coniugi; Il narratore/regista che si autocensura tagliando un pezzo di pellicola
Sul proscenio di quel grande teatro che è la vita, lo sceneggiatore fa girare la ruota su cui girano incessantemente i propri personaggi, facendone incontrare e scontrare le traiettorie, collidere i vizi, annullare le virtù, alimentare le passioni. Maschere di Teofrasto mosse unicamente da interessi personali, le figure di questo sublime Ophüls, che muove da un soggetto teatrale di Schnitzler, sono poco più che marionette in mano al caso, atomi egocentrici incapaci di relazione e comunicazione, soffocati dagli oggetti e divorati dagli spazi.
MEMORABILE: Il regista che, con un gesto metacinematografico ironico e spiazzante, autocensura manualmente una scena ritenuta troppo "spinta".
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