Ereditando una grande villa nel centro di Copenaghen, Erik e Anna tentano l’esperienza di condividerla sottoforma di "comune" tra amici e nuove conoscenze. Siamo negli anni ’70, in cui l’istanza libertaria favorisce un modello di relazioni tra liberi e uguali, illudendosi che le regole della convivenza possano attutire egoismi e sostituirsi ai sentimenti. Nella realtà invece affiorano gelosie, incomprensioni e drammi personali. Un lavoro potente e asciutto, dal piglio teatrale e con un cast di grande spessore (specie la Dyrholm). Da dibattito.
MEMORABILE: L'ingresso di Emma nella comune; Le regole e i dibattiti a cena; Il progressivo turbamento degli equilibri; Il volto di Anna.
Da Vinterberg ci si aspetta sempre una certa profondità della storia che spinga a riflessioni non banali vuoi sulla famiglia vuoi sulla psicologia delle masse. Stavolta invece ci si ritrova di fronte a qualcosa con lo spessore di una cartolina: banalotta la storia (il professore con la studentessa, ma basta!) con la tematica della vita in comune sfruttata malamente, raffazzonati e poco ispirati i personaggi, piatta la regia. Insomma, più che un film danese di un buon regista, sembra una fiction di Rai Uno qualsiasi.
Una curiosa e interessante immersione nel clima sociale Anni Settanta in Danimarca, dove un gruppo di amici si trova a condividere una grande casa creando appunto una comune. Un adulterio rende però illusorio l'ideale di totale condivisione e apertura mentale da parte della coppia protagonista. Il disagio della figlia adolescente Freja testimonia con molta efficacia la sofferenza imposta ai figli dagli atteggiamenti egoistici e infantili dei genitori; piuttosto gratuita invece la parabola tragica del bambino.
Ennesimo film sull'esperimento post-68 di modelli alternativi alla tradizionale famiglia, con le ennesime conclusioni che ben conosciamo. Più che per il tema della "comune", il film è interessante per come testimonia le distanze culturali e caratteriali nelle relazioni sociali, fra il profondo nord Europa e il nostro sud. Con l'innegabile considerazione che nessuno è perfetto. Ricostruzione scenografica degli anni '70 quanto meno opinabile.
La Danimarca degli anni settanta che vuole essere "civilissima" ma deve fare i conti con i sentimenti, che civili non sono; ed è difficile, anche per i nordici, tenerli a bada. Credibile in ciò che riguarda la vita in comune, finché si parla di birre non segnate, di lavastoviglie e di quote non pagate; lo è invece molto meno la storia dell'architetto padrone di casa. In ogni caso Ulrich Thomsen ha la faccia (di bronzo) giusta per interpretare una parte tanto antipatica quanto meschina. Un ritratto vero dei danesi? Ho qualche dubbio.
MEMORABILE: Emma (Helene R. Neumann) che riesce, nonostante tutto, a vivere nella comune, sgranando solo il suo sguardo meravigliato davanti agli avvenimenti.
Ritratto della società danese degli anni '70, in bilico trà volontà di essere moderni e ancestrali, umanissime gelosie che inevitabilmente si manifestano quando sotto lo stesso tetto si creano e sfaldano legami sentimentali. Ricostruzione credibile e ben realizzata, affidata a un cast collaudato che dona la giusta verve a una sceneggiatura statica di partenza. Poca profondità per i personaggi di contorno che potevano essere meglio gestiti e troppa attenzione alla crisi coniugale, che diventa il centro di tutto.
Il sogno di una coppia di una vita felice in "comune" viene messo in discussione dalla voglia di lui di condividere la propria vita sentimentale con un'altra donna. Nonostante apprezzi molto Vinterberg, questa volta non è riuscito a mio parere a centrare il bersaglio deragliando dai binari del soggetto iniziale in nome di una complessa disamina della capacità o meno di una donna di accettare come coinquilina la nuova fiamma del marito. Peccato perché facendo così tutti gli altri protagonisti finiscono per non avere alcun spessore.
In linea generale posso dire di non aver apprezzato molto il film, da quella che poteva essere una buona (e per la nostra mentalità) insolita idea ci si è andati a concentrare sul tipico dramma familiare del tradimento. A tutti gli altri abitanti della comune è stato di conseguenza tolto quello spessore che poteva dare qualcosa in più allo spettatore.
E' qui la festen? Purtroppo no, sebbene viga la mal comune nessun gaudio. Ben strano regista, Vinterberg: a sconcertanti slanci tragici interpola impacciate retrocessioni in aree poco fertili. Si reinterroga sull'istanza-distanza comunitaria: ci ribadisce che la cattività che la cementa è latenza di quanto la neutralizza e viceversa, proiettando la tesi nel crollo delle utopie love-and-peace. A convincere laddove gli asfittici sottotesti svigoriscono i quid drammaturgici, è la compartecipe coralità interpretativa. Tolta la quale, niente di torreggiante lascia nel bene o nel male provati.
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DiscussioneRaremirko • 28/10/19 22:14 Call center Davinotti - 3863 interventi
Quoto Schramm almeno sulla discontinuità del comunque dotato regista, che effettivamente, tra le opere, alcune delle quali eccellenti, altre mediocri, c'è.
Comunque il film è buono, per l'appunto corale (e non comunale XD), che racconta più per sottrazioni che affidandosi a cose chiare/esplicitate.
Meglio di Riunione di famiglia, ma inferiore a Festen.