Raggiunsero il traghetto - Corto (1948)

Una corsa in moto sempre più veloce fino al prevedibile schianto. La modernità ha il sapore del mitico viaggio a Samarcanda nelle braccia della morte. Sfrondato ogni orpello narrativo o contestuale, il viaggio dei centauri lambisce l’assoluto ed è solo il rumore sordo del motore che spinge al massimo. La pubblicità progresso si tramuta, con la regia di Dreyer, in amara e beffarda filastrocca sul destino. Un cortometraggio implacabile, che tuttavia non lascia il segno che potrebbe, per la troppa elementarità del soggetto.

Le simbologìe colpiscono da subito, col retro scheletrico di quell'automezzo... Poi abbiamo il bivio, con la salvezza che viene sciupata. Citazione finale da Arnold Böcklin, probabilmente, da "L'isola dei morti". L'unico che è chiamato a recitare è il capitano del traghetto, mentre gli altri sono solo maschere. Da notare il volto della moglie (era proprio la consorte di Koch), di profilo, col chiaro e lo scuro chiaramente separati. "Molto Dreyer", il tutto. Efficace.

Una coppia in motocicletta deve raggiungere un traghetto in breve tempo; l'incidente per la velocità è in agguato. Una commissione ministeriale (contro gli abusi alla guida) offre al regista il destro per una storia dalla cupa simbologia: il traghetto finale sarà quello caronteo. Nella sua essenzialità riesce a trasmettere qualcosa del genio di Dreyer: il tragitto dei due come avvio alla morte, l'ammicco alla classicità. La breve durata impedisce, tuttavia, uno sviluppo adeguato dei temi.