Tra i ben pochi significativi film di un 2023 che cinematograficamente non ha saputo proprio di nulla e tra i migliori Loach dell'ultimo decennio. Cinema non da pavidi e soprattutto per combattenti, esposti. Che ti fa parteggiare anche per ciò che ti può lasciare dubbioso o non completamente d'accordo, per la grande capacità di Ken anche qui dimostrata nell'argomentare tramite immagini scabre e dialoghi potenti ma non sentenziosi le macerie lasciate da thatcherismo e blairismo, in una città mineraria un tempo non affogata nell'amarezza e nel risentimento. Ottimi gli attori tutti.
MEMORABILE: L'insegna che non ne vuole sapere di restare su; Il finale con una nota di speranza oppure ormai no, a seconda di come vedi la ciambella.
Ennesima conferma delle capacità uniche nel cinema di impegno civile dell'ottantasettenne Ken Loach, al suo ultimo film (forse) in base alle sue dichiarazioni. Anche stavolta riesce a essere edificante e istruttivo nel parlare degli ultimi, raccontando la difficile integrazione di un gruppo di sfollati siriani nella comunità depressa della provincia ex-mineraria inglese. I buoni sentimenti stentano a prevalere di fronte alla rigida opposizione dei più intransigenti e ottusi, ma alla fine c'è spazio per qualche confortante messaggio di speranza.
Villaggio inglese, povertà e degrado; proprietario di un pub si barcamena come tutti, quando arriva un pullman di profughi siriani, alloggiati nelle case abbandonate. Lottando ancora sui suoi consueti temi il vecchio Loach fa ancora centro, con un’opera che commuove e spiazza i benpensanti che confondono clandestini malavitosi con profughi in fuga da una guerra dove hanno perso tutto per sempre, beni e persone. Le vicende del barista, della comunità siriana e del paese si intersecano inestricabilmente, perché tutti dovremmo essere solidarietà ed empatia. Nel vuoto delle istituzioni.
Ken Loach ci narra, ancora una volta, di un'Inghilterra oramai degradata da un'economia morente, che porta a svuotare di senso la vita dei suoi abitanti. L'arrivo di un gruppo di profughi siriani accende però, almeno in una parte di popolazione, un sentimento di solidarietà che, forse, si trasformerà in una fiammella di speranza per il futuro. Cinema di grande impegno civile, che riesce a parlare al cuore e alla mente. Ottime interpretazioni da parte di tutto il cast, con un plauso particolare al bravissimo Dave Turner.
Ken Loach non molla di un millimetro e si schiera ancora una volta dalla parte degli ultimi, che hanno un po' il volto degli ex minatori (e discendenti) di un paesino dell'Inghilterra del nord e un po' quello dei profughi siriani che vi si rifugiano. La vecchia quercia è un pub, ultimo baluardo di una comunità, ma è soprattutto il suo proprietario, uomo funestato dalla vita che tuttavia trova ancora qualche spiraglio di speranza per lottare nel nome dell'integrazione e dell'accoglienza. Minimalista, efficacie, asciutto (anche se forse l'avrei chiuso un pelo prima), quasi commovente.
MEMORABILE: Le immagini introduttive; L'insegna del pub; Il saluto tra TJ e Yara.
In un paesino inglese dimenticato da tutti e da tempo abbandonato dal potere centrale, arriva una comunità siriana a “complicarne” gli equilibri. Gli egoismi locali prendono il sopravvento, ma non completamente. Loach racconta una favola né buona né cattiva in cui si muovono stati d’animo comuni a tanti paesi, europei o meno. Ma a volte sembra prendere il sopravvento un vento “convenzionale” che rende il suo sviluppo un po’ artificioso, come a effetto. Comunque un buon materiale educativo ad alto tasso etico.
TJ che gestisce l'ultimo pub in un paesino inglese non ha mai dimenticato né rimosso il dramma della miniera e della miseria successiva alla "scopa thatcheriana" e perciò è tra i pochi impegnati ad alleviare le difficoltà di un gruppo di profughi siriani assegnati a quella zona. Un coraggioso messaggio civile guida Loach in questa ennesima denuncia del pregiudizio e dell'ostilità in nome di una fasulla identità di provincia, sempre tenendosi su un equilibrio possibile ma non per questo meno graffiante. Commovente nel finale la condivisione delle donne al lutto della famiglia siriana.
MEMORABILE: La questione della sala interna chiusa da tempo; Marra; Le parole di Yara a TJ nella cattedrale; I vaniloqui di qualche cliente del pub; Il finale.
In un paese impoverito dalla chiusura delle miniere, l'arrivo di alcuni profughi siriani provoca malumori ma anche un moto di solidarietà che porta all'apertura di una mensa popolare... La vecchia quercia del titolo è il nome dell'unico pub rimasto in città ma ricorda anche la figura del regista, sempre schierato dalla parte degli ultimi. Nonostante nel finale appaia forse troppo ottimista sulla possibilità di marciare insieme superando i pregiudizi, il film commuove per cosa racconta ma soprattutto per chi racconta, un ottantasettenne che ha sempre mantenuto saldi i propri ideali.
Un gruppo di profughi siriani trova accoglienza nel Nord dell’Inghilterra. Loach racconta ancora un cinema sociale mettendo in parallelo chi ha perso tutto in guerra e chi ha perso tutto perché la terra dove vive non offre più lavoro. Un male comune con un filo di speranza se la solidarietà funziona. Trama meno combattiva che sfocia nella nostalgia e nel dispiacere. Il senso di realtà, con chi non accetta la cosa, è reso solo con qualche parolaccia sparsa e in lingua originale è più ficcante. La seconda parte si apprezza per la profondità espressa.
MEMORABILE: Lo scherzo che finisce con la rottura della macchina fotografica; Il cagnolino che spunta in spiaggia; Le foto mostrate con la musica; I fiori donati.
In fin dei conti partendo proprio dal titolo dell'opera la vecchia quercia è proprio Ken Loach, capace come al solito di raccontare una storia intrisa di elementi politici e sociali con la grande delicatezza di cui solo lui è capace. Il suo è un vero e proprio marchio di fabbrica che anche qui è visibile e compare a più riprese con grande forza. La resistenza al cambiamento va di pari passo con la cultura dell'accettazione, perché in fondo in fondo si è un po' tutti migranti. Qualche momento di stanca qua e là c'è, ma l'opera è innegabilmente di spessore.
MEMORABILE: L'interpretazione di Dave Turner.
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