Note: Ispirato dal racconto breve "La marcia indietro" (Alberto Moravia, 1959). Aka: "A Complicated Girl"; "A Rather Complicated Girl". Riedito nel 1972 col titolo "Senza pudore".
Moraviata di un Damiani insolito ma qui e là fuori registro. Pagati tutti i possibili tributi ai cliché dello pseudo-thriller intellettuale d'epoca (per fortuna con un certo ritegno nei dialoghi) il film è purtroppo di una lentezza festivaliera, e non sempre al riparo dal ridicolo involontario (le mises di Proietti... ). Per fortuna la Spaak (notevoli le scene body-art) e la Bolkan, entrambe in forma smagliante, restituiscono quanto il cast maschile toglie. Nel finale una giovane Malisa Longo.
A me è piaciuto, contando anche che non ho mai apprezzato Moravia e sopratutto le orride trasposizioni televisive dei suoi romanzi (vedi l'orrido filmetto La villa del venerdì). Buona la prova degli attori, i due francesi su tutti. Curioso finale, film che non dispiacerà.
Certamente credibile il personaggio di Claudia, perverso e contorto come certe ricche e viziate, ancor di più il suo amico voyeur e quindi non meraviglia la complicità che si instaura da subito nella coppia. Un film anomalo (dall'argomento anomalo, diciamo), ma interessante e curioso, basato su una sceneggiatura ben scritta. Buona la prova del cast, per un prodotto dignitoso.
Thriller psicologico, con punte di crudeltà, abbastanza risaputo (già a meno di metà film non è difficile capire come andrà a finire nonostante la chiusa sia poi costituita da un epilogo verbale enigmatico) che tuttavia non manca di intrigare ed interessare lo spettatore più per il contorno a dire il vero che per la sostanza. Curioso e in ogni caso più che accettabile. Le protagoniste femminili se la cavano molto bene, i maschietti sono invece piuttosto appannati. A suo tempo ebbe non pochi problemi con la censura.
Damiani userà nel decennio successivo questi strumenti d'introspezione dei personaggi in maniera infinitamente più efficace e gradevole. Questo film è un vero strazio che fa acqua da tutte le parti: insipido, noioso e più lento della messa cantata. Davvero da evitare a tutti i costi. Nemmeno la bellezza della Bolkan lo salva in minima parte.
Tornano dopo La noia ancora Damiani e la Spaak in un film tratto ancora da un romanzo di Moravia. Girato sicuramente in modo meno "impegnato", si rivela un film molto semplice e gradevole da seguire, con alcune casualità di troppo (vedi l'arrivo del fidanzato della ragazza che la Spaak e Sorel circuiscono) ed un finale non di gran livello.
Sorel cincischia di continuo con la macchina fotografica, rassicurante diaframma tra il suo sguardo curioso ma fondamentalmente pavido e la realtà che lo angoscia, Damiani traspone il bel racconto di Moravia in immagini, ma la foto gli riesce... sovraesposta! Film inutilmente prolisso, dato che quasi niente accade a livello di trama, e niente accade a livello di evoluzione psicologica dei personaggi, noiosamente cristallini fin dall'inizio nella loro stanca, prevedibile crudeltà di bambini annoiati. E ci annoiamo tanto anche noi!
MEMORABILE: Sorel che immagina la Spaak nuda, imparruccata e in body-painting mentre ascolta di nascosto la sua telefonata.
Catherine Spaak è la ragazza complicata del titolo e lo si capisce molto presto, Jean Sorel il servo inconsapevole e complice. Un film morboso, che la censura dell'epoca non poteva rimanere a guardare, una parte incisiva per la Bolkan sempre bellissima. Finale intuibile ma pellicola interessante!
Filmettino di poco interesse. Nonostante un ottimo cast (dalla Spaak che gira nuda nei boschi a una stupenda Bolkan matrigna lesbica e a Sorel, qui barbuto) la pellicola risulta piuttosto pesante e delude anche nelle scene in cui dovrebbe coinvolgere (a parte il destino della Bolkan). Dimenticabile.
Racconto vago e ambiguo (diabolica macchinatrice lei e/o psicopatico lui?) che si sostanzia nel serico erotismo dei nudi femminili e nei due “complicati” protagonisti, ovvero la volubile Spaak e l’impotente Sorel, la cui irresponsabile indifferenza e l’inane ribellismo omicida rivelano una lontana parentela con il Lou Castel de I pugni in tasca. Concreti e credibili l’altera e perturbante Bolkan, la tormentata Cuadra, l’apprensivo Casellato e la spaurita Grimaldi, laddove il ghignoso Proietti si riduce a mera presenza. Accanto ai consueti Pejo, Fernet Branca e J&B compaiono i biscotti Plasmon.
MEMORABILE: Il body-art sulla Spaak nell’immaginazione del voyeur Sorel.
Lei è una manipolatrice, o forse no. Lui ha qualche rotella fuori posto, o forse la perde strada facendo. Fatto sta che dal loro incontro non ne esce niente di buono e ben presto i loro giochini diventano meno innocenti (l'umiliazione della studentessa), fino all'epilogo tragico. Il finale non risolve l'ambiguità della faccenda, anzi. Film imperfetto ma affascinante nella sua morbosità, datato solo esteticamente.
Una eccessiva lentezza rovina quanto di buono era disponibile: un argomento intrigante (al di là dei due protagonisti, la "fuga dalla morte" di lui), un cast di ottimo livello (con curiosa eccezione di Proietti), ambientazioni azzeccate. Lui e lei sono perfetti per il ruolo, con la Spaak che affianca svariate sfaccettature al noto cliché della ragazza disinibita, ma anche il cast secondario se la cava egregiamente. Un'occasione non sfruttata bene.
Pellicola disuguale, con parti riuscite e intriganti alternate ad altre modaiole (per l'epoca) e irritanti per imperizia registica e altisonanti pretese letterarie (calligrafiche). Comincia più o meno bene e sembra procedere con un suo stile ma poi si perde per strada, evapora nel cervellotico e alla fine non convince. La cosa migliore è il soggetto (farina del sacco di Moravia).
Gli ingredienti ci sono tutti: la ragazza a doppia faccia, la noia, il voyeurismo, le allusioni saffiche, il delitto, la bellezza delle protagoniste; una certa scenografia bizzarra. Eppure il film non ingrana mai e gli elementi succitati galleggiano eterogenei e perciò inerti. Solo il corpo e il volto della Bolkan, misteriosi come quelli d'una dea, eccitano la pellicola ravvivandone le sorti; l'apparizione, però, dura pochi minuti. Forse la Spaak e Sorel sono troppo ordinari per reggere un gioco dell'ambiguità così protratto.
Ad essere complicata non è soltanto la ragazza in quanto la storia è altresì ingarbugliata e non ha capo né coda. Annoia dall’inizio alla fine senza concedere respiro ed è appesantito da una verbosità oltremodo fastidiosa e inconcludente. Si fatica a capire quale sia il filo logico, anche perché quel poco che traspare è tutt’altro che interessante. Stesso dicasi della colonna sonora e di quel gusto kitsch tipico degli anni Sessanta che affiora ogni tanto, orrido a dir poco. Un brutto film che si può tranquillamente evitare.
Tentativo di thriller psicologico da parte di Damiani non totalmente riuscito. L'idea di partenza (basata su un racconto di Moravia) è interessante, ma l'intreccio si fa sempre più ingarbugliato: i profili psicologici dei protagonisti sono abbandonati a metà, lasciando lo spettatore a bocca asciutta. Crudele la sequenza dell'adescamento della minorenne. Si salvano le bellezze della Spaak e della Bolkan, Sorel invece è poco espressivo e Proietti parla poco. Belle le inquadrature e le ambientazioni. Film un po' invecchiato.
MEMORABILE: Il costume della Bolkan; l'adescamento della ragazzina.
Il Sessantotto di Damiani è un po' confuso. Circonfuso di design flower power, punta su un'idea liberazione sessuale che sbraca nel voyeurismo d'accatto. Sorel e il giovane Gigi Proietti avrebbero fatto bene a scambiarsi le parti, tanto monocorde e sabbioso appare il francese. Punta del compasso è comunque la Spaak, sensuale e desnuda come mai prima, nonostante fossero dieci anni che il cinema italico provava a spogliarla. Storia che incuriosisce nelle intercapedini e in qualche scena autoriale (il gineceo da body art dell'incipit) ma priva di mordente. Finale tirato via.
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Vorrei segnalare che, contrariamente a quanto indicato nelle note, La marcia indietro di Alberto Moravia, da cui il film è tratto (o meglio, al quale è liberamente ispirato) non è affatto un romanzo, bensì un breve racconto facente parte dell'antologia Nuovi racconti romani. Grazie, e scusa la mia pignoleria:)
DiscussioneZender • 31/12/11 17:51 Capo scrivano - 47839 interventi
Nessuna scusa, è ovviamente giusto correggere, se si sa. Grazie.
DiscussioneDusso • 5/06/13 19:16 Archivista in seconda - 1838 interventi
Era uso comune quello delle pubblicità occulte, ci sono decine di casi in ogni film del periodo
DiscussioneZender • 5/06/13 19:53 Capo scrivano - 47839 interventi
Se dovessimo segnalare tutte le pubblicità (poco) occulte dovremmo mettere un milione di fotogrammi. Li mettiamo se sono davvero spudorate, parlate, eccessive. A quel punto le mettiamo in questo speciale qui:
DiscussioneZender • 5/06/13 20:18 Capo scrivano - 47839 interventi
Il fatto è che ce ne sarebbero troppe. Quasi in ogni film Anni Settanta ci sono chili di pubblicità di questo genere. Il J&B e la Pejo, in particolare, spuntavano ovunque, in maniera a dir poco imbarazzante. Direi che uno speciale basta. Se proprio la cosa si fa esageratamente sfacciata tipo quelle del secondo speciale allora ok.