Schramm • 28/06/16 20:09
Scrivano - 7689 interventi all'indo(podo)mani della caduta del muro, cade rovinosamente anche ogni forma di utopia, di ideologia, si spezza ogni possibile stampella o appiglio che dava all'unione delle repubbliche sovietiche l'impressione di marciare a passo deciso e sostenuto o di non precipitare. per la russia l'apocalisse non è più vaticinio, ma un eterno presente, un corredo genetico. per aristaksian quella della miseria e della rovina assolute è anche una forma che trascende la condizione terrena, politica. è una nobile condizione dalla quale muover pedina per farla finita con qualsivoglia concetto di sistema che sovradetermina e inghiotte le esistenze. rovinandosi letteralmente per realizzare il film dall'interno, diventando ovvero familio complice confidente dei neglietti, dei relitti, degli emarginati, dei barboni si lancia in un evangelico dire-fare-baciare-lettera-testamento avulso a qualsiasi comodo e assolutorio pietismo. scrive (declama) una lettera a un bambino mai/non ancora nato, che siamo forse noi o forse è il messia mancato dell'
ultimo posto sulla terra. in attesa di mostrarci un'impossibile istanza comunitaria bastante a sé, qua viene reso protagonista assoluto chi il posto sulla terra non ce l'ha, passando in rassegna ciò che il sistema getta, producendolo con freddo darwinismo, e di cui ha paradossalmente bisogno per autolegittimarsi: una passerella di mendicanti così come li predicava e voleva leon bloy, di una follia bambina che sfocia nella santità, di un'ingenuità che tocca la sponda della saggezza e infine, anche se a noi non pare, esonda nella vera salvezza. il regno dei cieli è qui, se si sa accettare e abbracciare l'imo degli inferi.
la forma è incredibile. sembra precedere il cinema e senz'altro fa esplodere un elevato senso di arcaismo, quasi che il film fosse stato realizzato nel 1910 anziché 84 anni dopo. in un bianco che sembra latte andato a male e in un nero che sembra catrame fresco sotto il sole fa la voce grossa una fotografia che riveste l'opera di carne onirica, e comunque la fa sembrare frutto di visionaria fantasia che attinge all'arcano. e invece no, this is the world now. è un documentario, quelli non sono attori, sono frammenti di un discorso amoroso frainteso prima, messo a tacere poi. la voce narrante che li concatena e attraversa sublima e trascende la forma documentaria, ma molto contribuisce a farci prendere, che ci piaccia o meno (e non ci piacerà) il massimo della confidenza con un quantitativo di afflizione e di dolore cosmici che saranno sì anche il portale per una traslata forma di purezza e di beatitudine, ma che a noi accomodati ci toglierà ogni cm di prima pelle di dosso.
è un film che fa un male indescrivibile, come è nella natura dei capolavori, al termine del quale o si ci si ammala della sindrome di san francesco o si sprofonda di centinaia di chilometri nella depressione più inscalfibile (né più né meno di quanto avviene con
mesto na zemle). ci mette davanti alla confutazione del mondo per come crediamo di averlo studiato e conosciuto. ci sussurra che in questo mondo saltato per aria ci siamo noi che crediamo di guardarlo al riparo, con lo schermo a distanziare e fare da diaframma, da garante. passare per la cruna di questi 148' significa prepararsi a saltare per aria assieme a lui.
capolavoro, che ti inuma come una frana. vale l'alert dato illo tempore, per il suo "seguito": immergetivici a vostro assoluto rischio.
Ultima modifica: 28/06/16 20:22 da
Schramm
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