Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Narcotrafficante messicano dall'aspetto brutale ingaggia un'avvocata perché lo aiuti a cambiare sesso, inscenare la propria morte e rifarsi una nuova vita... Dopo aver bordeggiato il melodramma in alcuni dei suoi film precedenti, Audiard lo abbraccia in pieno con questo musical ad alta carica emotiva il cui unico difetto può essere quello di voler affrontare troppi temi. Si tratta però di un difetto che passa in secondo piano di fronte alla vitalità della messa in scena, la bellezza dei numeri musicali, le eccellenti interpretazioni delle attrici a partire da Karla Sofía Gascón.
Pellicola nepalese (ma co-finanziata da altri otto paesi) che offre allo spettatore festivaliero occidentale tutto ciò che immagina e spera di trovare in una pellicola nepalese: ritmi lenti con susseguirsi di pianisequenza, panorami himalaiani mozzafiato, spiritualità, cucina e tradizioni locali, soggetto elementare ma pieno di grandi, scontati valori. Eppure, dubbia autenticità a parte, il film affascina e conquista, soprattutto quando il viaggio iniziatico diventa un faccia a faccia con spazi aperti sterminati e silenziosamente minacciosi. Notevole fotografia, cast credibile.
E' un film che tenta un modo tutto suo di raccontare, non riuscendo però nell'impresa di coinvolgere lo spettatore. C'è un lavoro notevole sulla fotografia. C'è la volontà di caratterizzare i personaggi con un bizzarro incrocio tra un commissario, abituato a sparare romanesco più che pallottole, e un tenebroso ispettore francese che si prende piano piano la scena. E ci sono caratteri di medio spessore che gravitano senza troppo senso intorno all'altro emisfero narrativo, ovvero la Golino di pelle nera vestita.
Lo spunto è antico come il mondo e vede nascere un interesse crescente tra due persone (in questo caso giovani) diversissime tra loro: da una parte c'è Marco, diciannovenne all'antica che odia i social; dall'altra Aria, una coetanea che vive sfruttando ogni minuto come fosse l'ultimo. Non che lo snodo vada meglio: al contrario, la piega strappalacrime infastidisce oltremodo perché specula su tematiche delicate allo scopo di far breccia nel cuore dello spettatore (e in effetti in alcune sequenze ci riesce). Velo pietoso sul finale "costruttivo", non male Follesa e Francesconi.
Immaginate di trovarvi in un locale. Il barman vi serve un cocktail in cui ha miscelato Gremlins, un Sandler arrabbiato e una spruzzata di comicità da Frat Pack: cosa potrà uscirne fuori? Il rischio che sia rivoltante c'è tutto, ma potrebbe anche rivelarsi una piacevole scoperta... Se valutata in base alla sua capacità d'intrattenere, l'opera di Vaughan coglie nel segno e pazienza per alcuni passaggi al limite dell'amatoriale e qualche ripetizione noiosa (i vari "rientri a casa" di Milo): Marino ha la faccia giusta, il demenziale funziona e si intravede persino una morale di fondo.
Una vera e propria spremuta di sangue. E perché continui praticamente dall inizio alla fine, ci sarà un'ideale staffetta tra gli psicopatici e la "bella" sorpresa nella stiva. Dura un po' troppo, la trama è quel che è (big pharma; esperimenti per scopi militari e conseguenze) e una certa ripetitività e assuefazione a sangue e teste fracassate può sopraggiungere. Ma non è girato male, ha comunque un discreto ritmo; e di cattiveria e violenza gratuita ce n'è davvero in abbondanza. In più, nessuno è al sicuro, neanche quelli che potrebbero sembrare i protagonisti. Non male dopotutto.
Tratto dal romanzo "Come una bestia feroce" di Edward Bunker, che collabora alla sceneggiatura (anche perché la storia è quella della sua vita), il film è un bell'esempio di quel cinema americano che nei Settanta seppe imporsi sganciandosi dalle regole per raccontare parabole di perdenti, criminali occasionali, disgraziati, figli di una terra che li rifiutava facendone spesso dei reietti solitari. Max Dembo (Hoffman) è uno di loro: in libertà vigilata dopo sei anni di galera per rapina, deve rendere conto dei suoi spostamenti a chi (Emmet Walsh)...Leggi tutto non sembra provare per lui troppo affetto.
Deciso a rigare dritto, Max si trova una casa, un lavoro e perfino una ragazza (peraltro di rara bellezza, visto che parliamo di Theresa Russell ventenne). Riprende contatto col suo vecchio amico Willy (Buse), sposato con Selma (Bates), il quale però si fa di eroina in casa sua lasciando tracce che porteranno il sorvegliante Earl a riportarlo in carcere convinto che si buchi. Una detenzione inaspettata, che Max trova ingiusta e che causerà una sua reazione incontrollata, a causa della quale sarà costretto a darsi alla latitanza. Ripresi i contatti con un'altra vecchia conoscenza (Stanton), penserà a guadagnare un po' di soldi organizzando nuovi colpi.
Se insomma sulle prime sembrava che la vita di Dembo potesse imboccare una svolta positiva, basta poco a farlo ripiombare nel baratro secondo uno schema visto al cinema innumerevoli volte. Poco conta, perché quello che il film punta a curare è l'atteggiamento del protagonista, cui Dustin Hoffman offre un servizio indimenticabile. Perfettamente calato nella parte, sorprendente nell'imprevedibilità delle reazioni di un personaggio che nella sua negatività palesa tratti profondamente umani, Hoffman si mette in relazione con gli altri personaggi senza che mai il suo modo d'agire, anche quando schiavo d'improvvisi scatti di violenza, appaia caricaturale, eccessivo come è facile aspettarsi in situazioni del genere. Con il solito eccellente Harry Dean Stanton trova i momenti migliori, ma anche con Theresa Russell riesce a costruire un rapporto che meritoriamente sfugge alla banalità, grazie anche alla seducente naturalezza di lei, che mai sembra far "pesare" la straordinaria avvenenza di fronte a primi piani che ne lasciano risaltare la raffinatezza dei tratti.
Con una Kathy Bates in un ruolo molto marginale e un Gary Busey che invece copre una figura molto importante per buona parte degli sviluppi della vicenda (ah, c'è pure Jake Busey nella parte del... figlio di Gary, suo padre anche nella realtà), il film sa muovere bene le proprie pedine, lavora intelligentemente con gli spazi aperti (fondamentali, nel cinema della "Nuova Hollywood"), colpisce forte quando deve. Ogni tanto rallenta, si prende i suoi tempi, permette d far ascoltare qualche valido passaggio della colonna sonora di David Shire e sconta la mancanza di veri guizzi che sappiano puntellare con decisione alcune fasi più deboli; nel complesso, tuttavia, Max Dembo rappresenta meglio di molti altri la voglia di proporre una sorta di neorealismo a stelle e strisce che trova nelle grandi performance del cast uno dei suoi principali valori. Un film non sempre coinvolgente eppure piacevole, autentico, figlio legittimo della sua epoca e di quella voglia di raccontare la tragedia di un quotidiano cupo attraverso le azioni di chi poco pensa in grande e sogna solo di poter accantonare ciò che serve per poter vivere senza affanni.
Spionistico di quelli in cui non tutto si riesce a ricondurre con facilità a una storia dalla logica precisa: tratto da un best seller della scozzese Helen McInnes, anche per questo risulta arduo da trasporre in appena un'ora e mezza. Bisogna come sempre comprendere gradualmente quanto accade sullo schermo senza troppo preoccuparsi se lungo la strada dissestata si finisce in qualche buca.
In una Venezia particolarmente solare, alla quale si sposa bene il clima di mistero in cui la storia è immersa, l'incipit è di quelli col botto: a una conferenza sul disarmo...Leggi tutto nucleare i cui argomenti portati sono di importanza nulla nell'economia della vicenda (lo si capisce da come i traduttori simultanei stranieri parlano sopra la voce del relatore rendendo pressoché impossibile coglierne frasi complete), qualcuno fa esplodere una bomba! Muoiono nella circostanza un bel po' di personalità e tra di esse colui che viene ritenuto il responsabile dell'eccidio, un americano di nome Prentiss.
A investigare sulla tragedia accorre da New York Bill Fenner (Vaughn), ex agente CIA richiamato in servizio perché implicata nel caso pare esservi la sua ex moglie Sandra (Sommer), sospettata di avere più di un contatto con i servizi dell'Unione Sovietica. Una volta sul posto, Bill viene avvicinato da una vecchia conoscenza (Asner) e da uno strano soggetto (Karloff) che dice di essere in possesso di un prezioso dossier a cui in molti daranno la caccia. A tutto questo si uniscono effettivamente le ricerche di Bill, sulle tracce dell'ex moglie scomparsa poco dopo l'esplosione alla conferenza. Era stata vista a Venezia poco prima, vicina a Prentiss. Bill la ama ancora, si è dato nel frattempo all'alcol ma intanto se la spassa con l'attraente segretaria (Farr) di Prentiss, a sua volta in contatto con gli altri agenti della CIA.
In questo caos di loschi personaggi convenuti e i cui rapporti che li legano a volte sfuggono, Bill riesce infine a rintracciare Sandra, rifugiatasi provvisoriamente in un convento, e cerca di capire quali siano le sue intenzioni, ma la donna farà in tempo a sparire di nuovo. Questa volta entra però decisamente in gioco tale Robert Wahl (Bohm), pronto a ricoprire di soldi Bill perché lo porti da Sandra, che tutti cercano invano. Ci si sposta tra chiese e calli, tra San Giorgio e Sant'Angelo, accompagnati dalla pregevole colonna sonora di Lalo Schifrin (con ottimi tocchi thriller) in una Venezia illuminata da un'ottima fotografia.
Robert Vaughn si aggira per i suggestivi scorci con il caratteristico sguardo trasognato, nel contempo vigile e apparentemente distratto, mentre le splendide donne presenti (c'è anche la nostra Luciana Paluzzi) sfoggiano ricercatissime acconciature Anni Sessanta. La Sommer e la Farr regalano classe e fascino, con la prima che rappresenta la figura chiave di un film che comunque si attorciglia in una trama involuta di complicata assimilazione. Boris Karloff si ritaglia un ruolo ai margini, mentre colpiscono gli effetti di una strana droga allo studio capace di indurre un uomo a spaventarsi a morte di fronte a un topolino. Dialoghi accurati, segno di una produzione ricca, troppo frammentaria tuttavia per coinvolgere a dovere. Finale con sparatorie e cadaveri...
Sembra di stare in una parodia dei GOONIES recitata da nerds, con un effetto spesso straniante che disorienta e nasconde le vere intenzioni degli autori, con l'innesto di brevi balletti, una canzone, battute che sovente cadono nel vuoto e qualche traccia slapstick (il ragazzo in tuta alare che vola al contrario, appeso come un aquilone al cavo dei suoi due amici). Un minestrone...Leggi tutto dalla direzione incomprensibile che sta in equilibrio tra l'umorismo da ragazzini e quello più adulto (almeno sulla carta), subito distrutto da qualche improvviso break assolutamente puerile che riconduce tutto a un'elementarità di base in fin dei conti destinata a diventare la chiave di volta dell'operazione. Anche perché quello che si cerca è proprio di ironizzare sul cinema per ragazzi mantenendone intatta la struttura, con la caccia al tesoro di tre ventiseienni (dunque non certo degli adolescenti) che tuttavia si comportano come se avessero dieci anni di meno.
Il riccioluto Martin (Herlihy), il rosso Ben (Marshall) e il più voluminoso John (Higgins) sono amici dall'infanzia, quando durante una vacanza rinvennero in un bosco una bussola misteriosa. Vedendo un video su Tic Toc, John apprende dell'esistenza del tesoro di Foggy Mountains, un preziosissimo busto di Maria Antonietta nascosto chissà dove su quelle alture. Con disarmante faciloneria capisce che la loro bussola indicava proprio come arrivarci! Ogni spiegazione logica è ovviamente bandita perché, in un film così, conta come tutte le altre meno di zero. Basti sapere che, dopo una lunga introduzione in cui seguiamo i tre amici al lavoro nel centro commerciale del padre di Ben, li vediamo partire armi e bagagli per le Foggy Mountains muniti di una mappa recuperata chissà come da John.
Giunti sul posto, entrano in contatto con un gruppo di scout nel quale due componenti decisamente in carne, Lisa (Stalter) e Taylor (X Mayo), capiscono come i tre siano in possesso della mappa per raggiungere il famoso tesoro di cui tutti lì sono a conoscenza. Per questo li seguono e, accampatesi con loro, la notte li legano rubando la mappa. Non servirà, perché il busto lo troveranno comunque i tre, servendosi (in modo del tutto assurdo, come sempre) della bussola che all'interno contiene una a dir poco enigmatica indicazione del luogo esatto, nel quale sta un portale che sembra quello della casa di Spongebob (lo fan notare loro!).
L'idea di distruggere tutti i luoghi comuni legati a queste cacce al tesoro cinematografiche riducendoli a ricercate imbecillaggini senza capo né coda era buona, e va detto che i tre sono sufficientemente simpatici da evitare il rischio di risultare irritanti, perché ruoli simili potevano davvero indisporre chi non è abituato a questo genere di film. Il problema è un altro: se sulla carta le invenzioni per una parodia arguta che abbassasse artatamente ogni pretesa di credibilità non mancavano, nella realizzazione gran parte delle buone intenzioni si sgonfiano. La sceneggiatura proprio non brilla e i dialoghi sono umoristicamente poverissimi, privi di quello spirito iconoclasta che sarebbe servito per dare necessaria linfa all'ingegnoso proposito iniziale.
Le gag riuscite si contano sulle dita di una mano (una è quella del capo della setta che impreca quando s’infila in testa una gigantesca maschera che gli impedisce di vedere correttamente cos'ha di fronte) e il più delle volte ci si chiede se chi le ha scritte (che poi sono gli stessi tre protagonisti del film!) si rendesse conto di quanto poco avrebbero potuto funzionare. Ciononostante il film non dà l'impressione di essere tirato via e, per qualche insondabile motivo, a tratti sorprende. Peccato non sia sorretto da una regia che lo sveltisca a dovere e che sappia valorizzare le intuizioni bislacche degli autori. Chiusura con "Alright" (1995) dei Supergrass, tra i brani più utilizzati di sempre su grande schermo e il cui videoclip mostrava i tre strampalati componenti del gruppo muoversi e ballare proprio come i protagonisti di questa bislacca avventura.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA