Patetico melodramma di rara banalità con un'Olga Villi che, nella parte della canzonettista del titolo, comincia la sua carriera nell’avanspettacolo tra gli applausi e se la vede interrompere - come la sua storia d'amore con un tenente dell'esercito (Frank Latimore) - dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Partito lui, partito pure l’affezionato Nino (Totò) che per anni era stato il suo compagno d'arte, Yvonne finirà la carriera tra gli insulti e un tristissimo ritiro dalle scene. La protagonista insomma è solo lei, con Frank Latimore ad affiancarla come importanza nella prima parte e Totò relegato a un ruolo di secondo piano per tutto il film. Il grande comico napoletano ha solo un momento...Leggi tutto divertente in coincidenza con un'esibizione a teatro dove propone, da par suo, il numero del “bel Ciccillo”: da antologia i disarticolamenti burattineschi, davvero impressionanti. Per il resto è costretto a recitare sempre con il cuore straziato dall’amore non corrisposto per Yvonne; è l’amico fedele impossibilitato ad immaginarsi come amante, posto che lei ha già riservato all'eroico tenente. Inutile parata di volti noti: Gino Cervi è il diretto superiore di Latimore (giusto qualche duetto che avrebbe potuto interpretare chiunque altro), Ave Ninchi ha un cameo come titolare di un ristorante, Eduardo De Filippo si presenta nel finale da avvocato, giusto cinque minuti. Olga Villi sciantosa ha una personalità che le permette di dare una certa profondità al personaggio, senza troppo esagerare con lacrime e gridolini di gioia, ma quando canta (per ben tre volte) c'è da annoiarsi non poco. Dispiace vedere Totò sprecato in un ruolo di secondo piano, nel quale oltretutto è costretto a recitare dimesso (ma quanto è bravo a fare pure questo!).
Ibrido, non riuscito. La pellicola dura un’ora e mezza, ma la vicenda ballonzola in modo irregolare, qua con lungaggini canore, là con scorciatoie brusche. Regìa un po’ statica. Questa vicenda amorosa, poi sfociante nel drammatico, non riesce a conquistare. Totò in secondo piano, grande con “Ciccillo”. La Villi si impegna, ma ci si ricorda di più di Gino Cervi, colonnello un po’ bonario, un po’ severo. Trascurabile.
Totò presenzia "a margine" in una pellicola dai risvolti amorosi a tratti smorzati da languide canzonette. La scenografia teatrale tradisce un ritmo narrativo di tipo "statico", con la M.d.P. sovente inchiodata di fronte ad attori agghindati in maniera retorica. Nulla può un cast discreto (De Filippo, Cervi, Foà, la Ninchi) di fronte alla vacuità di un soggetto strattonato a forza verso i 90 minuti del lungometraggio. Noioso e immobile, come cristallizzato in una dimensione spazio-temporale altamente pendente.
Con un cast che conta Totò, Eduardo e Gino Cervi ci si attenderebbe un film di ben altra qualità. E dire che il Principe ebbe grande riguardo per questa pellicola, la sua prima (ma non ultima) incursione nel cinema drammatico e, oserei dire, in questo caso, melodrammatico. La trama è noiosa, non regala particolari guizzi o momenti memorabili. L'unico motivo per cui vale la pena vedere il lavoro di Amato, è la riproposizione della macchietta del Bel Ciccillo. Ma stavolta nemmeno Totò salva il film dalla mediocrità.
Il travolgente numero mimico del “Bel Ciccillo” con Totò scatenato burattino e la squisita rappresentazione dell’atmosfera leggera e spensierata della Belle Epoque; queste sono le perle di Yvonne la nuit, film del produttore tutto fare e qui anche regista Giuseppe Amato, una pellicola senza infamia e senza lode, un melodramma deamicisiano alla Matarazzo, pilotato con mano greve ma sicura e senza calcare troppo sul pedale pietismo, verso un finale “aperto”. Un Totò inedito alle prese con un personaggio malinconico e crepuscolare. Reperto archeologico.
Sebbene i nomi coinvolti siano altisonanti, Yvonne La Nuit non riesce a rendere come dovrebbe e manca di quella zampata necessaria per compiere il salto definitivo. La regia appare troppo statica e scolastica e non riesce a trasmettere a dovere tutta l’amarezza di una storia assai triste. Il migliore è Totò, anche se lo spazio che gli viene concesso è poco; altri, come Eduardo De Filippo, non hanno il tempo di lasciare il segno. Nel complesso mediocre.
Sul palco tutta la spensieratezza e l'eleganza dei cappelli piumati della belle époque, nella vita tutto il melodramma di amori incompresi, amori contrastati, divisioni sociali, fino alla grande guerra come spartiacque tra uno stile di vita e l'altro. La maschera più convincente è senz'altro quella di Totò: prima con il suo Bel Ciccillo, pezzo da antologia, poi con la raffinata eleganza del nobile (l'ordinazione al ristorante), fino alla dedizione totale verso la dimenticata Yvonne. Pesante e retorica la storia d'amore della protagonista.
Il difetto di questo film è il non saper prendere una strada decisa: c'è una prima parte sentimentale (la meno entusiasmante) e la seconda drammatica su un'artista ormai finita e invecchiata (la migliore e più realistica). Nel complesso si fa guardare senza stancare, soprattutto grazie al folto cast con una brava Villi, un Totò che riesce a tratteggiare bene il suo primo personaggio drammatico (e che regala un bel numero comico iniziale) e Cervi e Eduardo di contorno. Un po' di compattezza in più avrebbe raccontato un'epoca. Peccato.
Incredibile interpretazione "molto umana" (come dice il trailer) di Totò in un ruolo più serio, inedito per quell'epoca e precursore d iquello che avrà in Risate di gioia- Imperdibile il canto di "Vipera", veramente di quegli anni. Inutile pensare troppo al ritmo in un film storico dell'Italia di allora; meglio immedesimarsi in uno spettatore del 49 e gustarsi le varie chicche!
La storia dell’amore sfortunato tra il militare e la canzonettista alla vigilia della Grande Guerra ondeggia tra il sentimentale e il melodrammatico, sfoderando tutti i cliché. L’impressione è che su un facile plot si sia cercato di innestare blocchi di varia origine, non ultimi diversi numeri di varietà, facendo perdere l’omogeneità del racconto. Spicca su tutti Totò in un’inedita veste di agrodolce drammaticità, capace di interpretare bene il dolente ottimismo dell’Italia del ’49 appena uscita da un’altra guerra, ferita ma col sorriso.
Con l'aiuto di un mancato suocero protervo, il destino cinico e baro si accanisce contro una sciantosa che ama riamata il rampollo di una nobile famiglia; restata incinta, perde l'amato in guerra e poi le viene sottratto con l'inganno il figlio neonato... Melodramma programmaticamente strappa-lacrime che non centra il bersaglio per eccesso di patetismo accetuato da difetti in scrittura e regia. Peccato per Totò che, nel ruolo dell'amico innamorato che resta fedele nonostante tutto, ha qui una delle rare occasioni di mostrate quelle capacità dramatiche insite in ogni grande comico.
Vecchia storia da romanzo d'appendice che butta alle ortiche l'occasione di mostrare il rovescio della medaglia del mondo dell'avanspettacolo, preferendo insistere sui risvolti "strappalacrime" della vicenda. Un copione molto deficitario toglie qualsiasi velleità al notevole cast, in cui non riesce a brillare adeguatamente nemmeno il genio di Totò, imbrigliato in un ruolo da drammone sentimentale che mortifica la sua naturale vis comica. Mediocre anche la confezione, in cui si nota molta approssimazione sia nei dialoghi scontatissimi che nella realizzazione tecnica. Per completisti.
MEMORABILE: "Buono questo Porto; E dire che i vini spagnoli li ho sempre trovati un po' pesanti", una battuta che la dice lunga sul livello dei dialoghi...
Belle Epoque, sciantosa di cafè chantant e tenente di cavalleria di sangue blu si innamorano, ma i loro diversi status sociali e reciproche gelosie rischiano di mandare tutto a monte. Melodramma tragico e romantico ma con la M maiuscola: pur inevitabilmente datato (e forse lo era anche nel '49 quando uscì) ha tutte le carte in regola per una visione gustosa: eventi à gogo, la Villi è sfolgorante, ambientazioni e costumi sfarzosi e Amato gira con mano adatta alla materia. Cervi e Tieri comprimari di lusso, Totò un po' fuori parte, qui troppo lezioso per un ruolo drammatico.
Diretto dal pirotecnico e "travisabile" (per dirla con Flaiano) Peppino Amato, produttore tuttavia di alcuni dei più arrischiati capolavori del dopoguerra, il film è soprattutto un documento di certo teatro di varietà a cavallo dei due secoli e della strepitosa macchietta che il Principe (che per la prima volta nella sua carriera cinematografica accetta un ruolo subalterno nel plot) fa del Bel Ciccillo. Per il resto la vicenda centrale è di artificiosissima densità melodrammatica, in cui la Villi (aiutata dalla dignità di Totò, Cervi, Eduardo, Stivali) annaspa senza mai annegare.
Un'affascinante sciantosa incontra l'uomo della sua vita che la difende in pubblico, ma poi la guerra mondiale metterà fine ai suoi sogni. Una parte drammatica non solo per la protagonista Olga Villi ma anche per Totò, che di fatto apre il film con uno dei suoi cavalli di battaglia teatrali ma in seguito è compresso nel ruolo dell'innamorato infelice. Buone le intenzioni, ma il risultato è molto modesto, perché gli attori non sembrano mai a loro agio.
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CuriositàGeppo • 29/03/08 07:54 Call center Davinotti - 4356 interventi
Alcuni siti accreditano ENZO CANNAVALE come "maggiordomo" in YVONNE LA NUIT.
Confermo l'assenza di Cannavale dal cast di questo film.
Geppo ebbe a dire: Alcuni siti accreditano ENZO CANNAVALE come "maggiordomo" in YVONNE LA NUIT.
Confermo l'assenza di Cannavale dal cast di questo film.
Fonte: ENZO CANNAVALE, Intervista a "Cine70"
Ho visto il film e Cannavale me lo ricordo...
Talora gli attori non ricordano film cui hanno partecipato secoli prima in piccole parti, dopo i quali ne hanno fatti altre decine e decine...