Già si era osservato in THE CELL lo straordinario talento visivo di Tarsem Singh. Con THE FALL (che ricalca il successo precedente solo nel titolo, quasi omofono) non ci sono più vaghi pretesti thriller da seguire e Singh si lancia per il mondo a filmare paesaggi di bellezza straordinaria, arricchendoli di una resa fotografica incredibile che ci immerge totalmente nella favola che una dolce bimba di 5 anni ascolta da un ragazzo ricoverato in ospedale. Da Bali all’India, dal Sudafrica alle Figi ci troviamo di fronte a scenari naturali (e artificiali) da mozzare il fiato. Soprattutto nella prima parte, quando la favola dei quattro banditi...Leggi tutto alla ricerca dell’odiato nemico sembra totalmente assoggettata alla scenografia. Poi invece ci si perde più nell’azione e nelle “interruzioni” ospedaliere, in cui il rapporto tra la bambina e il degente si fanno più invadenti. Certo, si perde un po’ il contatto con le componenti necessarie alla realizzazione di un film davvero riuscito, ma tale è la cura riposta in ogni fotogramma che è difetto volendo perdonabile. Non c’è più la creatività anche concettuale di THE CELL, visto che questa (seppur ammantata di significati diversi che coinvolgono il cinema dell’epoca del muto) resta pur sempre una favola, la forza delle immagini rimane confinata alla qualità delle riprese di luoghi già autonomamente evocativi, la regia è ancora Singh... iozzante, per cui cerchiamo di non chiedere troppo ad un film che possiede qualità estremamente diverse da quelle che siamo abituati a vedere. Lasciatevi coinvolgere dalla grandiosità dei soggetti inquadrati, dalla dovizia di campi lunghi che esaltano l’ampiezza degli scenari, dalla vivacità dei colori e non resterete delusi.
Il punto debole del film d'esordio era il soggetto, con l'indagine sul solito serial killer efferato su cui si andavano ad innestare visioni di stupefacente bellezza ma scarsa giustificazione. Qui il regista si ispira ad un film bulgaro e l'intreccio fra realtà e fiaba, filtrato dalla fantasia della piccola Alexandria (interpretata da una bimba dolcissima) e dalla memoria del cinema dell'epoca del muto, risulta più fluido e convincente. Ne risulta un'affascinante sequenza di quadri in movimento, una festa per gli occhi.
MEMORABILE: I bellissimi titoli di testa - l'inquadratura escheriana con le guardie che percorrono le scale in ogni direzione.
Una nuova opera fantastica del regista più visionario contemporaneo. Già con The cell aveva dato prova di grande talento; questo film, a partire dai colori del manifesto fino ai titoli originali (così belli li avevo visti solo in Panic Room) e a tutta la messa in scena, colpisce per la fantasia e conferma il talento di un nuovo astro nascente nel panorama cinematografico. Lodevole, originale, sorprendente. Buona visione.
Tarsem Singh (che si firma solo Tarsem, quasi fosse un novello Prince, aka The artist, aka The Symbol), manifestò una certa idiosincrasia per la sceneggiatura lineare già con The cell, che era più un viaggio lisergico che un film. Con questo film c'è uno scarto successivo, perché anche le storie, fantasiosi racconti orali di burtoniana memoria (Big fish), si moltiplicano "ad libitum" e la narrazione non può che assecondare il lussureggiante impianto scenografico multilocation. Film che satura gli occhi, figlio di un regista senza disciplina, pretenzioso.
Quando si esalta l'immagine dimenticandosi della forza narrativa. La storia procede tra scenari di indubbio fascino indecisa se privilegiare il tono da fiaba classica o la componente fantasy col risultato di avvincere poco lo spettatore. Infatti i personaggi narrati non sono particolarmente ispirati e, a parte l'inquadratura labirintica, non ravviso nemmeno dei gran colpi di genio da parte di Singh. È comunque positivo che qualcuno finanzi le sue opere a dispetto di un probabile flop commerciale.
Impossibile non farsi catturare dalla forza visiva della fiaba di Singh e dalla naturalezza di un impianto narrativo che si sarebbe facilmente prestato all'artificiosità. La tenera Alexandria incontra uno stuntman depresso che le racconta una favola che s'intreccia con la storia personale di entrambi. Tarsem decide giustamente di lasciar parlare le splendide location e i colori senza cercare a tutti i costi lo spettacolo. Notevole anche il cast. L'ho trovata magnifica come pellicola e un delizioso omaggio al cinema dei tempi che furono.
MEMORABILE: La sequenza introduttiva che troverà spiegazione solo al termine del film; le guardie di Odious che salgono per le scale tutti insieme.
Dal punto di vista delle immagini il film ha un fascino innegabile. Location tra le più belle mai viste, una fotografia che ancor più ne esalta la bellezza ed effetti speciali ridotti al minimo ma funzionali e ben integrati. L'idea della sceneggiatura è buona (si basa su di un film bulgaro del 1981) e buoni sono gli interpreti, in alcuni casi anche solo per l'aspetto. Purtroppo in italiano la bambina è stata resa malissimo dal doppiaggio. L'incipit è se possibile ancora più affascinante. Nel finale alcune scene dei primi temerari stuntmen.
MEMORABILE: L'inizio; l'immagine del cavallo attraverso la serratura; la fine di Otta Benga.
Confesso di aver provato fastidio per un po’ durante la visione: troppo compiacimento estetizzante per scene di straordinaria visionarietà (location, sequenze, costumi, colori) esibite con magnificenza (e ironia). Poi, quando la storia del racconto in ospedale alla bambina si carica di pathos e travolge con energia la favola dei vendicatori, le cose cominciano a girare fino al finale omaggio al cinema. E la complessa sceneggiatura che proponeva virtuosistici intrecci riesce a superare l’algida macchinazione e a donare qualche bella emozione.
Sontuosa rappresentazione estetizzante girata nelle migliori location che il mondo reale ci possa offrire, ipercromatica narrazione fiabesca di personaggi pittoreschi. Il regista argomenta questo trionfo visivo con una trama non proprio all'altezza, barcamenandosi tra la fiaba sognatrice di Alexandria e la melodrammatica tragedia adulta di Roy. Il finale è per certi versi prevedibile ma anch'esso reso con inattesa sapienza, è un devoto tributo al cinema che dona lodevole umiltà ad un'opera che vive altrimenti di compiaciuta beltà estetica.
Dietro l'estetica maestosa delle apparenze, ci sono corpi che cadono e si spezzano, c'è dolore e morte. Gli spazi naturali, le architetture dell'umano sono irriducibili all'evasione; lo slapstick chiede pegno al sudore degli stuntmen. Un film teorico, post-godardiano, che invita a scrutare oltre la costruzione delle immagini - qui ve ne sono alcune tra le più belle mai viste - enucleando una teoria che basterebbe a giustificare l'essere di certo cinema che lavora sull'ambiguità delle superfici (Fincher e Jonze, non a caso, producono). Reiterata, comunque, l'esposizione. Pessimo il doppiaggio.
Tra il racconto fantasy e la fiaba ironica e surreale. Ispirato da un film bulgaro (tra i personaggi spicca un divertentissimo Darwin), raccontato in modo molto particolare (partendo dai titoli di testa, fino al racconto più volte interrotto ma sempre legato alla vicenda nel suo complesso). Sceneggiatura ben articolata, ottime interpretazioni (indebolite purtroppo da un mediocre doppiaggio); nonostante le complesse sfaccettature si apprezza la narrazione costantemente soft. La fotografia è una vera delizia!
MEMORABILE: Titoli di testa; Irruzione a palazzo; La musica di Beethoven.
Pesante guazzabuglio con belle e leccatissime immagini e zero sostanza. Quando iniziano i noiosissimi flashback, per quanto dipinti con enorme (e compiaciuto) sfarzo visivo, si spera si tratti di una parentesi, ma poi col passare dei minuti non resta che arrendersi al fatto che occuperanno gran parte del film (e così parte lo sconforto). Finale eccessivo e confusionario, che non fa che confermare le precedenti impressioni. Per quanto l'abbia visto non più di un mese fa, i miei ricordi si fermano a quanto scritto sopra. L'opposto di memorabile.
Location maestose, costumi fantastici, regia e fotografia impeccabili. A tutto questo si aggiungano due interpreti eccezionali, in particolare la bambina, che completano il quadro di un'opera davvero notevole, che ha richiesto anni di lavorazione (e si vedono tutti). Ogni fotogramma di questa pellicola è un dipinto, che investe lo spettatore di colore e movimento, un vero viaggio nella mente, come e più di The cell, che non può non conquistare anche il più riottoso verso i film fantastici (e chi scrive è fra costoro). Finale un po' lacrimevole.
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Esistono due versioni del film, una più bella dell'altra.
DiscussioneZender • 30/08/09 11:42 Capo scrivano - 48344 interventi
Lucius ebbe a dire, nella sezione homevideo: Esistono due versioni del film, una più bella dell'altra. Io sarei molto interessato al film (a livello "visionario" trovai THE CELL eccellente, a tratti straordinario). Ma è mai uscito in Italia, Lucius?
Non ancora, non gi ho dato 4 pallini solo perchè aspetto di vedere il prossimo, ma ti assicuro che in quanto a visionarietà non lo batte nessuno.La seconda versione è un mediometraggio, circa 50 minuti.Fantastico, se vieni a Roma sarò lieto di fartene una copia (in inglese).Ciao
DiscussioneZender • 13/09/09 19:22 Capo scrivano - 48344 interventi
Grazie Lucius, l'ho trovato!
DiscussioneDaniela • 14/09/09 09:41 Gran Burattinaio - 5942 interventi
Il film è reperibile in inglese, con sottotitoli in italiano.
Consiglio un'occhiata al sito ufficiale:
http://www.thefallthemovie.com/ contiene, fra l'altro, una galleria di bellissime fotografie
CuriositàDaniela • 14/09/09 09:56 Gran Burattinaio - 5942 interventi
Uno dei personaggi della fiaba che Roy racconta alla piccola Alexandria è Charles Darwin, presentato come un giovane naturalista eccentrico, vestito con una pelliccia dai colori sguargianti (che richiama le ali di una farfalla esotica). Darwin ascolta i consigli di una scimmietta, che porta sempre con sé in una sacca. La scimmia si chiama Wallace.
Il riferimento - raccolto non da me ma da uno dei miei figlioli appassionato di scienza - è ad Alfred Russel Wallace, scienziato e naturalista gallese che formulò una propria personale teoria evoluzionistica simile a quella di Charles Darwin. Le due teorie furono quasi contemporanee ed indipendenti, e solo per una serie di circostanze Darwin (che, pur avendo iniziato ad elaborarla vent'anni prima di Wallace, tardava però a pubblicarne i risultati) mantenne il primato nella scoperta della selezione naturale.
Gli scritti di Wallace sono stati pubblicati in italiano da Boringhieri, col titolo “L’uomo che gettò nel panico Darwin”, curato da Federico Focher, ricercatore presso l’Istituto di Genetica Molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pavia.
HomevideoGestarsh99 • 1/10/11 00:41 Vice capo scrivano - 21546 interventi
Disponibile in edizione Blu-Ray Disc per Eagle Pictures:
DATI TECNICI
* Formato video 1,85:1 Anamorfico 1080p
* Formato audio 2.0 Stereo Dolby Digital: Inglese
5.1 DTS HD: Italiano
Dolby TrueHD 5.1: Italiano
* Sottotitoli Italiano per non udenti