Ispirato palesemente al celebre caso Bruneri/Canella che scosse l’Italia dell’anteguerra, il film di Sergio Corbucci ci propone un Totò più stanco e svogliato del consueto, che riesce a rianimarsi solo nei duetti con Nino Taranto e Macario. Il registro oscilla tra la commedia melanconica e quella più brillante, anche se mai Corbucci riesce a far abbandonare al comico napoletano un’aria rassegnata che forse il personaggio richiedeva ma che a lungo andare nuoce al film. Subito in tribunale per il processo, lo smemorato del titolo (ma Collegno che c'entra?) viene condotto al banco degli imputati e lì siede ascoltando il suo passato prossimo ricostruito attraverso i flashback di chi gli è stato...Leggi tutto vicino negli ultimi giorni. Dapprima parla il direttore del manicomio Nino Taranto, quindi sarà la volta delle due presunte mogli (Yvonne Sanson e, in seconda battuta Elvy Lissiak). Chiude la parata un truffatore da quattro soldi (Riccardo Billi) che giura di aver riconosciuto nello smemorato un vecchio compagno di mascalzonate. Totò si ritrova tra partner già conosciuti: con Taranto dà vita ai momenti migliori, mentre Macario (suo amico al manicomio) fa nella parte del pazzo ciò che gli riesce meglio. Aroldo Tieri ripete il ruolo che aveva in LETTO A TRE PIAZZE e si inserisce relativamente. Per fortuna la svelta regia di Corbucci (come operatore alla macchina c'è Stelvio Massi, come aiuto Ruggero Deodato!) tiene piuttosto alto un ritmo che tenderebbe a scadere, visto che Totò diverte meno del previsto e che resiste un clima di abbandono generale. Il finale e in scemando, con Totò sempre meno vivo e più amareggiato.
Totò non si discute (qui fa quel che può), ma la storia del processo stufa in fretta. Ci si deve così accontentare delle non molte gag riuscite, soprattutto con Nino Taranto (nome e cagnomo, lo spiraglio). Non male anche Macario (i moschini, il pensiero veloce, al processo). Totò vestito da suora è indimenticabile, soprattutto quando dice di aver fatto il militare. All’inizio, quando è rinchiuso in un bagno da ore, un tizio fuori gli dice: “Basta, esca!. E’ ora che la cosa cessi”. Per il resto, molte inutilità verbose e poca, vera comicità.
MEMORABILE: Nino Taranto: "Non ho avuto figli". Totò: "E sua moglie li ha avuti?".
Film piuttosto fiacco diretto da Corbucci ed incentrato su una storia di amnesia. Benchè sia meritoria la performance di Totò (grandioso vestito da suora), ottimamente coadiuvato da Nino Taranto, il film ha poche frecce al suo arco e tende ad annoiare per un rapido affossamento della sceneggiatura. Ripetitivo.
Non certo eccezionale, ma interessantissimo, per la sfilata di grandi attori e per una dose di malinconia che viene istillata da alcuni tocchi di Totò e dall'intero ruolo di Elvi Lissiak, perfetta e dolente profuga istriana. Azzeccate, peraltro, sono tutte le interpretazioni, direi a partire dal grande Franco Volpi, che permettono di mantenere a galla il film nei momenti di stanca e in quelli un po' prolissi. Cameo del regista nella sala d'attesa di Viarisio.
Se è indiscutibile la grandezza di Totò, è pur vero che essa è una perla nel porcile dei tanti filmacci girati dal Principe. L'ennesimo alibi per lasciare a ruota libera Totò, questo film, cucito alla buona ma sempre con mestiere da Corbucci e aiutato da futuri bravi artigiani del nostro cinema. Da contrapporre allo spaesato protagonista dell'attuale sceneggiato tv; certi film di Totò, quelli più scrausi, sono ottime armi chimiche per paludate ricostruzioni in costume.
Ispirato al famoso fatto di cronaca degli anni ’20, il film di Corbucci cerca di trattare in modo serio e realistico il tema della perdita dell’identità di un uomo in riferimento allo smarrimento dell’identità civile e sociale della Nazione italiana; tema complesso affrontato con la struttura del flashback e alternando lo smemorato Totò tra scene farsesche e momenti meditativi, provando a legare una timida satira di costume con gustosi riferimenti alla vita politica dei primi anni ’60 (l'apertura a sinistra). L'operazione è da giudicarsi fallita.
MEMORABILE: Totò vestito da suora; La perfetta intesa recitativa tra Totò e Nino Taranto.
Ispirata dal noto fatto di cronaca, la pellicola si snoda su vari piani narrativi tutti regolati dalla verve comica del principe della risata, che mostra le sue sfaccettature più peculiari. Cast di altissimo livello con protagonisti e comprimari sempre molto appropriati; menzione per Macario, la Lissiak e la Sanson. Divertente.
Un De Curtis in gran forma (non solo comica) tiene banco in una commedia simpatica, con risvolti malinconici nella seconda parte. Accanto a lui un ottimo cast: da Taranto a Macario passando per Tieri, Pisu, Billi, Volpi e l'ancora affascinante Sanson. Qualche gag va a vuoto e non sempre il ritmo fila, ma una visione il film la merita.
Il 1962 fu un'annata fantastica per la filmografia di Totò, sia per prolificità che per la qualità di molti film; questo, però, fa solo numero e risulta persino un po' fiacco, con un Totò lasciato solo a sobbarcarsi tutto il lavoro. A dirla tutta, il dare carta bianca a Totò è sempre stato uno dei difetti principali nella costruzione dei suoi film: non è in discussione il valore del grande attore, un sempreverde della comicità che strappa le risa anche oggi, ma alla fine diventa un tappabuchi delle magagne della sceneggiatura.
Il celebre caso Bruneri-Canella funge da pretesto per costruire un modesto film attorno a un immenso (come al solito) Totò. Ad assisterlo nel colmare i buchi di una fiacca sceneggiatura gli amici di sempre Nino Taranto e Mario Castellani, con il primo che si ritaglia con la sua arte una fetta considerevole di film. Buoni quasi tutti gli altri comprimari, che fanno onestamente la loro parte, il resto è piuttosto evanescente. I fratelli Corbucci hanno fatto di meglio, ma il Principe della risata merita sempre una (ri)visione. A prescindere.
MEMORABILE: "Siamo in un paese che è un paese di eroi, navigatori, santi e sottosegretari" (Totò). Adesso ci sono rimasti solo i sottosegretari...
Non il miglior film di Totò ma comunque nel complesso abbastanza divertente. Sicuramente la prima parte, quella con Totò rinchiuso in un manicomio, è la più simpatica; indimenticabile Totò vestito da suora che dà di matto nell'ufficio dell'onorevole. La seconda parte rallenta un po' mantenendo comunque un buon livello di scorrimento. Il finale malinconico stona con il resto del film, ma può starci.
Ispirata al caso Canella-Bruneri, è una commedia sempre in bilico sul dramma, nella quale Totò riesce a coniugare la sua immancabile energia comica con lo smarrimento del protagonista in cerca di un'identità. La struttura del film non riesce però a ottimizzare questo contrasto, ma il buon lavoro dei comprimari, in particolare Taranto, permette di dar vita ad alcune scene davvero brillanti. Belli anche i momenti di malinconia disseminati qui e là. Disomogeneo ma gradevole.
MEMORABILE: Totò vestito da suora; "Hai chiuso il bilancio? Riaprilo!"; Il finale.
Fatto di cronaca che si presta perfettamente per una commedia teatrale che si svolge per lo più in un'aula di tribunale dove i protagonisti (imputato, testimoni, avvocati dell'una e dell'altra parte, financo il giudice e le figure macchiettistiche che assistono al processo) possono "esibirsi" e dare il loro apporto a quella che a tratti può sembrare una farsa. Dietro questo smemorato (un Totò che conia per l'occasione diverse sue famose battute) c'è tutto un mondo di profittatori, onesti e meno onesti. Finale stanco come il vecchio cane Fido.
Tappa alquanto singolare nella filmografia di Totò poiché il film è un curioso ibrido tra il comico e il drammatico. Non mancano, infatti, quelle situazioni in cui l’attore si concede alle macchiette più pure e semplici, sorretto da una serie di spalle sempre all’altezza. Non si può non notare, però, l’influenza del soggetto; trattasi di un dramma acuito da una vena malinconica che esplode nel triste epilogo. Un episodio dal sapore agrodolce, soltanto ispirato alla vicenda di Bruneri e Canella, a cui si può concedere un’occasione.
Ispirato ad un famoso caso di cronaca degli anni Venti, un film meno divertente rispetto ad altri interpretati da Totò ma tutt'altro che disprezzabile: la storia di questo smemorato conteso fra due donne ha un epilogo molto triste che ne riscatta le incertezze a livello di sceneggiatura e definizione dei caratteri, anche se poi la chiusa, con Totò simil Mussolini che arringa la folla affacciato ad un balcone, riporta la lancetta sul registro comico. Di notevole pregio anche il cast che affianca il mattatore.
Da un fatto di cronaca realmente accaduto cui si tenta di dare una rappresentazione con toni da commedia esce invece un film malinconico che ha i suoi unici momenti simpatici allorché il sempre eccelso Totò si confronta con due delle sue celebri "spalle" (Taranto e Macario). Buono il cast di contorno (singolare la presenza della bella Sanson); paradossalmente il finale è persino più triste della realtà.
Il famoso evento di cronaca degli anni 20 plana sul boom postbellico dei primi 60 mischiando comicità e amarezza. Si ride con Totò, reduce smemorato, che ha campo libero nel manicomio e nella casa di una delle due pretendenti. Ma in fin dei conti è toccante la sua storia di reietto, che non può e non vuole aderire, in una trama vagamente pirandelliano-eduardiana, agli schemi imposti dalla società, quasi orgoglioso del suo sradicamento senza identità. Finale “mussoliniano” insensato, forse appiccicato per evitare una chiusura troppo triste.
Anche se Totò inizia a sentire il peso degli anni, la regia di Sergio Corbucci e la presenza di tanti stupendi caratteristi consente comunque al film di essere divertente anche se un po' malinconico, come se Totò raccontasse di fatto la dicotomia tra l'attore Totò e il principe De Curtis. Tra i personaggi spicca un giovanissimo Franco Ressel, piazzista francese di dentiftrici.
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Come riportato da Imdb Sergio Corbucci appare in una piccola parte, quella del tizio in attesa di essere ricevuto dall'Onorevole. Nel riquadrino una foto d'epoca per un confronto: