Che film ci sono stasera in tv in prima serata? Ma non solo questa sera, anche la mattina o il pomeriggio, se capita una giornata di pausa. E i più nottambuli possono trovare anche i film che vanno in onda a tarda notte, i cosiddetti fuori orario. Cliccate sulle frecce per cercare tra i palinsesti passati e futuri oppure controllate direttamente tutta la settimana. Il numero del canale si trova tra parentesi dopo il suo nome. Se non c'è, cercatelo qui: numero canale. Cliccate sull'icona calendario a fianco della scheda per appuntare un promemoria su quel film in agenda. Se siete loggati potete cliccare anche sulla stella per contribuire alle segnalazioni. Come? Scopritelo
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Matalo!: La sensibilità di Manfredi esce bene da questo particolare film all'epoca davvero popolare, nonostante la spinosità del contenuto assolta dall'attore-regista sempre con tono di commedia ma in maniera sentita. In questione la repressione sessuale dovuta all'educazione (supestizione sarebbe meglio dire) religiosa. Il film si chiude senza risposta per il protagonista, in maniera inquietante. Ottime performances degi attori specie per Lionel Stander la cui raccolta di ritagli di "grazie" è esilarante a dir poco.
MEMORABILE: "Gli cresce la barba per di dentro e more soffocato"; Manfredi che dispiega i santini come tarocchi.
G.Godardi: Cicli e ricicli d'Italia: si prende un genere di cui eravano i campioni nel periodo del muto (il peplum), se ne estrapola il personaggio simbolo (là era il dannunziano Maciste, simbolo del fascismo assieme al suo "alter ego" Mussolini dei cinegiornali luce) e lo si riveste di una patina d'allegro espressionismo metafisico. Grazie ad un'abile e ironica sceneggiatura (De Concini) che riesce a schivare lo schematismo del film, a prove e soprattutto ad un apparato iconografico di prim'ordine: gli effetti speciali di Bava e le scenografie di Mogherini. Apripista.
MEMORABILE: Il combattimento col leone e quello finale col simil godzilla: due esempi degli straordinari effetti speciali caserecci di Bava.
Jcvd: Un film che film non è. Parliamoci chiaro: è un semplice collage di sketch e rifacimenti di film famosi, senza una trama e soprattutto senza un finale. Semplicemente a un certo punto esce la scritta FINE e amen. Ceccherini mi piace molto come attore e, anche se questo film come innovazione è apprezzabile, resta il fatto che si è osato davvero troppo finendo col partorire un film quasi inguardabile.
MEMORABILE: Gli omaggi a [f=2265]Rocky IV[/f] (con Vieri) e a [f=8446]Babe il maialino[/f].
Luckyboy65: La cosa più sciocca è che degli alieni così evoluti sono ingolfati perché gli manca lo spinterogeno di cristallo. A parte questo il 4° capitolo non è male (anche se i numeri pari sono inferiori ai numeri dispari) e vorrei essere in forma come Indy a 66 anni. Anche i precedenti erano film assurdi e li amiamo proprio per questo, perciò perché stupirsi di questo? La scena del duello con le spade però non c'azzecca, speriamo che Le Bouf non diventi il giovane Indiana dei prossimi capitoli... La vera aliena è la bellissima Blanchett.
Gabrius79: Dopo il non azzeccatissimo Si accettano miracoli Siani ci riprova con una storiella tutto sommato godibile che nella prima parte risulta essere piuttosto brillante, con gag e tormentoni azzeccati (merito pure di un Abatantuono in gran spolvero); nella seconda il ritmo langue un po' e alcune situazioni (a parte qualche scena slapstick) risultano stucchevoli. Siani se vuole sa interpretare bene i suoi ruoli ma deve dimenticarsi di tentare di somigliare il più possibile a Massimo Troisi.
Rufus68: Il primo episodio, solo una curiosità antropologica con un Sordi depotenziato, appesantisce il giudizio complessivo. Già con Zampa, abile a volgarizzare una delle novelle più spietate e irridenti di Maupassant, si risale decisamente la china dello humor nero italico; l'ultimo segmento, meno corrosivo, si avvale tuttavia di un bel gioco di caratterizzazioni: da Tognazzi, che parla un curioso burocratese militare con inflessioni venete, ai coatti di borgata sino a un azzeccato Rinaldi, felice di andare al gabbio convinto di evitare le corna.
Straffuori: Incontratisi durante un operazione di polizia, due colleghi, uno romano, l'altro milanese uniranno le forze per sgominare pericolosa banda. Irresistibile commedia poliziesca con un grande Renato Pozzetto e un Montesano al top della forma. Le risate non tardano ad arrivare, non ci si annoia. Location che spaziano dalla città alla provincia Milanese arrivando fino a Venezia.
MEMORABILE: Il "Santino" di Pozzetto; L'inseguimento in auto; Ubriachi.
Blutarsky: Commediola sottotono anche per gli attuali standard di Brizzi. Il canovaccio è risaputo (la famiglia che rovina la vita a uno dei suoi membri), lo svolgimento telefonato con personaggi incosistenti o stereotipati (nel migliore dei casi). Mandelli non recita male ma non ha le capacità comiche o perlomeno l'espressività necessarie al ruolo e si fatica ad appassionarsi a una storia priva di momenti di comicità valida o di qualsivoglia motivo di interesse. Finale prevedibile e buonista.
Caesars: Interessante. Il film risulta sostanzialmente diviso in tre parti. La prima ambientata nel 1935 ha parecchi "slittamenti" temporali che gettano nuova luce su accadimenti appena visti. La seconda, ambientata alcuni anni dopo, ha forse scene tirate un po' troppo per le lunghe ma presenta un piano sequenza davvero memorabile ambientato sulla spiaggia di Dunkerque. La parte finale chiude perfettamente il ciclo grazie anche a un'ottima Redgrave. Gli altri interpreti sono più che adeguati, per le loro parti. Buona la regia di Wright. Consigliato.
Donarfio: Commedia su sfondo fatto di disturbi nevrotici, dipendenza da barbiturici, analisi e affinità di coppia. Verdone poi mette in primo piano quella che è una delle sue più grandi passioni, la musica rock, coinvolgendo un'icona metallara per una scena già diventata cult. Ottima prestazione di tutti, l'Arbusti giornalista è il prototipo dell'insicurezza umana e richiama a più riprese il Sergio Benvenuti di Borotalco. Rapporto convulso ma reciproco con la Buy: la frase che dà il titolo ripetuta da entrambi lo dimostra. Troppo lungo lo svolgimento.
MEMORABILE: La trasmissione "Jukebox all'idrogeno"; Il videomessaggio alla compagna in stile [f=1934]Manuel Fantoni[/f].
Noodles: Poco funziona in questo peplum in cui spicca la bellissima fotografia di Massimo Dallamano. Erode, il cattivo di turno, non convince (perfetto invece l'Antipatro di Corrado Pani). La recitazione è spesso sopra le righe ed eccessivamente teatrale, specie quella di Sylvia Lopez. I dialoghi non hanno mezze misure: o sono estremamente banali o appesantiscono non poco la pellicola. Vi sono inoltre dei difetti di montaggio. Non male il finale, ma si può perdere.
Galbo: È la storia di un attacco di commandos dietro le linee tedesche durante la seconda guerra mondiale ed è ambientato in Grecia. Si tratta di un classico kolossal di ambientazione bellica con tutti i pregi e difetti del genere. Film ben costruito, pieno di momenti di tensione con sfondi e scenografie importanti. Il cast è ottimo (Peck, Quinn e Niven sono una garanzia) e ben assortito. La regia è di mestiere ma efficace, per questo genere di film. Il limite è forse quello della retorica eccessiva della sceneggiatura ed è evidente nei dialoghi.
Enzus79: Bella questa commedia musicale che ho trovato abbastanza effervescente. La nota negativa, però, è che dura troppo (due ore e più) dato che il finale si fa attendere. Si potevano evitare alcune cose. Bella, ovviamente, la colonna sonora. Branagh e Hoffman bravi e bizzarri.
Nando: Commediola abbastanza scontata che con la scusa di una presunta vincita milionaria genera un vorticoso giro sentimentale fatto di tresche di provincia. Salemme interpreta il solito napoletano con la sua ripetitiva maschera e non strappa risate. Meglio l'Argento e Gassman, inutile la Santarelli. Finale telefonatissimo.
Reeves: Papocchione sentimentale incentrato sulla bontà esibita e sul politicamente corretto esibito in ogni inquadratura. La favoletta che ci vuole tutti buoni a Natale è ormai irritante, almeno quanto i voltoi bellini e slavati dei due protagonisti. Film come questo fanno venire voglia di diventare tutti Grinch. Arridateci i cinepanettoni, se l'alternativa è questa...
B. Legnani: Accettabile trovata di Pieraccioni. Alcune parti mediocrissime (tremendo il duo Ceccherini-Laurenti) sono bilanciate da alcuni momenti esilaranti, come gli omaggi della cena romantica. Qua e là si sbuffa, qua e là si ridacchia, grazie alla solita simpatia di Pieraccioni e a qualche trovata di Papaleo e di Molteni. Inutile e tutt'altro che funzionante la presenza di Guccini. Marylin per Pieraccioni equivale al Bogart per Allen. Alla fine dei conti il film vale **
Il Gobbo: Remake di Ombre rosse a esclusivo uso di quelli che non guardano i film in bianco e nero (gente che esiste e cui leggi irresponsabilmente liberali concedono i diritti civili). Gordon Douglas sta a John Ford come Baricco a Omero, ma ha sufficiente mestiere per allestire delle buone scene d'azione. Se ci si dimentica dell'originale un western anche godibile. Cast maschile bollitissimo (c'è anche Bing Crosby!) e ad elevato tasso alcoolico.
Pessoa: Film di cappa e spada di Maté ambientato nell'Inghilterra del XV secolo in cui Tony Curtis è chiamato a ripristinare il rango della sua casata caduta ingiustamente in disgrazia. Il soggetto è piuttosto scontato ma sceneggiato con professionalità, dando spazio a numerosi combattimenti all'arma bianca che delizieranno gli appassionati. Anche le prove di Curtis e sua moglie Leigh restano su livelli più che buoni, benché manchino colpi di scena che possano dare brio a una storia piuttosto lenta e monotona. Consigliato agli aficionados del genere.
Saintgifts: Percorrere tremila chilometri controcorrente verso nord sul Missouri è l'impresa che cacciatori di lingua francese e inglese si prefiggono per poter avere le preziose pellicce dei Piedi neri. Fuori dagli inevitabili contrasti tra bianchi (legati al commercio e al profitto), rimane l'epicità dell'avventura che Hawks dirige da vero maestro coadiuvato da una fotografia che, oltre il grande cielo, esalta la natura attraversata dal grande fiume. Non solo avventura; i caratteri più che approfonditi sono delineati con concreta "semplicità".
Siska80: Prodotto indirizzato ai bambini in cui grafica e animazione sono pienamente sufficienti, mentre il resto non è affatto originale né tantomeno coinvolgente, a partire dalla trama scontata nella quale un indomito porcospino femmina si mette sulle tracce di chi ha provocato una grave siccità nella foresta. Immancabili il compagno di avventure (qui uno scoiattolo), gli alleati, i pericoli da affrontare e il nemico da sconfiggere (ma l'happy end è garantito, com'è ovvio); detto in parole povere, si può evitare senza alcun rimpianto.
Rocchiola: Brutto remake di un classico del cinema orientale. Non è una questione di lesa maestà, semplicemente si tratta di uno degli Spike Lee peggiori di sempre. Inverosimile e mal interpretato da un Brolin terribilmente imbolsito, non funziona nemmeno sul piano puramente ludico come spettacolo di genere. Grossolano e volgare, pare un racconto di Stieg Larsson filmato da Paul Verhoeven. Nello squallore generale la bellezza della Olsen è poca cosa e Jackson è sprecato.
MEMORABILE: Il piatto a base di roditori indegna citazione di [f=425]Baby Jane[/f]; Il rapporto sessuale tra Joe e Marie; L'assaggio dei ravioli.
Markus: Come ci ha abituati Vincenzo Salemme nelle sue ultime fatiche cinematografiche, il film è tratto da una sua omonima pièce. L'opera, ben recitata e soprattutto nella prima parte spassosa, si sviluppa attraverso un canovaccio forte di scene surreali e talvolta parodistiche. Le sceneggiatura è forte di dialoghi ed espressioni tipiche del cinema partenopeo classico. Tolgono un po' di fiato, nella seconda parte del film, alcune venature eccessivamente romantiche e passaggi ai fini della storia evitabilissimi.
Anthonyvm: Quando un legal drama (per di più basato su una storia vera) riesce a tirare in ballo discriminazioni razziali, fallacia della pena di morte e trionfo del piccolo eroe contro il Mostro Ingiustizia, l'ovazione di critica e pubblico è pressoché assicurata. Articolo "straight-from-Hollywood" ben impacchettato, con tutti i crismi del caso, che pur inciampando più volte nella retorica banale, riesce a mantenersi a galla grazie a personaggi correttamente definiti, ma soprattutto in virtù di una vicenda interessante che fa leva su tematiche note ma, evidentemente, mai abbastanza dibattute.
MEMORABILE: I richiami a "Il buio oltre la siepe"; La solidarietà fra i carcerati; La vergognosa ottusità dell'accusa e del giudice; Le immagini di repertorio.
Il Gobbo: Pirotecnico tortilla western americano pro-indios, con un eterogeneo terzetto (Burt Reynolds fuorilegge mezzosangue, Raquel Welch guerrigliera mozzafiato e Jim Brown sceriffo tetragono) alle prese col cattivissimo generale Verdugo (Fernando Lamas). Dei nostri coevi western messicani ha le location in Almeria, il gusto per lo spettacolo, e parecchie facce note (J. M. Martin, Sambrell). Nei minuti iniziali breve, indimenticabile apparizione di Soledad Miranda.
Può definirsi inquietante, ipnotico, enigmatico, magnetico, intrigante o con mille altri aggettivi che ne sottolineino il carattere quasi sonnambolico, da sogno a occhi aperti; il problema è che il tutto, poi, si traduce in un incedere catatonico, quasi tarkovskiano senza che tuttavia il compianto Giuseppe Petitto (valido documentarista morto in un incidente stradale poco dopo le riprese) possa ovviamente raggiungere le vette poetiche del maestro russo. La qual cosa inficia di molto la godibilità dell'opera, per quanto non si possa non riconoscerle grande eleganza visiva,...Leggi tutto con una fotografia straordinaria (di Davide Manca) soprattutto negli interni, in cui luci e ombre giocano un ruolo fondamentale. Perché l'ambito è quello del dramma familiare e del thriller venato da evidenti richiami all'horror - per quanto mai si aggiungano effettacci di alcun tipo - e per questo ci si attenderebbe una tensione di molto superiore.
Abbondano i simbolismi (i corvi in primis), i silenzi la fanno da padroni mentre l'assoluta protagonista Antonia Liskova – indubbiamente in parte – si ritrova a interpretare una madre ossessionata dalla figlia Lucy di otto anni (Mastrocola). La piccola appare come sfuggente, scontrosa, spesso più vicina al padre (Neuenschwander) che alla madre, da lei vista come “cattiva” senza che sulle prime se ne capisca il motivo; perché al contrario Nicole appare invece amorevole, sempre vicina alla figlia, comprensiva. Cosa nasconde Lucy? E cosa il marito, che parla quasi sempre in tedesco e capiamo presto come abbia tradito la moglie precipitandola in una crisi dalla quale la donna fatica a riemergere?
Il piano reale e onirico si confondono in un cocktail non certo originale che il cinema ci propina da anni in ogni variante possibile. Questa è una delle più utilizzate, quindi la scelta di servirsene lavorando quasi esclusivamente sull'impianto visivo non si rivela delle più felici. Certo, l'ambientazione montana sulle Dolomiti aiuta (il film è una coproduzione tra Italia, Svizzera e Slovenia), i paesaggi freddi si sposano bene con quanto si vuol comunicare (e non comunicare), ma per affrontare un tema tanto abusato con la speranza di farsi ricordare era necessario inserire qualche punta d'originalità che qui manca del tutto. Per chi bazzica il genere, insomma, l'intera vicenda si traduce in un lungo viaggio nella mente (malata? solo turbata? alterata?) della protagonista, con l'unico interprete esterno alla famiglia che risulta essere l'amante (Skrbinac) del marito, cui si concede una fugace presenza.
Orsetti di peluche, la bimba che appare un po' ovunque, poi scompare, riappare, inquietanti presagi, l'alcol sullo sfondo, i farmaci, il marito sulla cui ambiguità molto si gioca... Se la professionalità dell'insieme è garantita, non è facile perdonare l'insistenza con la quale si prolunga lo stesso schema all'infinito rallentando programmaticamente ogni scena e investendo la Liskova, pur brava, di una responsabilità enorme, che non può da sola assumersi sperando che il film riesca a coinvolgere. O si è disposti a immergersi in una dimensione liquida in cui accettare di buon grado la sostanziale assenza di azione e l'annullamento del ritmo, o il rischio tangibile è quello di trovare il film decisamente faticoso da seguire.
Rigoletto: Orrendo polpettone hollywoodiano preparato con il consueto condimento, tanto gustoso nell'esteriorità quanto insipido nei contenuti. Oltre all'impostazione di base, infedele non tanto ai testi ma allo spirito della storia, rimane agghiacciante l'interpretazione di Gregory Peck, fuori ruolo in modo imbarazzante e dipinto come un impenitente donnaiolo poco interessato alla voce di Dio. Migliore invece la prova della Hayward, ma non al punto da rovesciare le sorti di un film concepito male.
Siska80: Giovane e bella principessa si finge una persona qualunque e trova un lavoro presso una stazione sciistica. Uno di quei film dei quali si potrebbe prevedere ogni sequenza: incontro a pochi minuti dall'inizio, reticenze reciproche iniziali, prime confidenze, approcci durante un ballo, verità scoperte all'ultimo momento, riavvicinamento ed epilogo "al bacio". Non male la coppia protagonista, ma ciò che desta l'attenzione sono, oltre all'atmosfera infantilmente fiabesca fuori tempo massimo (che strappa anche un sorriso nostalgico), le meravigliose location innevate. Appena mediocre.
Enzus79: Mediocre come il primo, se non di più. Niente di nuovo. Certo qua e là qualche risata esce, ma siamo al limite del forzato. John Malkovich rimane sempre quello più simpatico, mentre i personaggi femminili sono tutti rivedibili (specie quello della Mirren). Si poteva fare meglio, ma molto meglio.
Katullo: Action thriller fluviale con fare molto anni '90 nella sceneggiatura; la Streep dimostra una volta tanto anche capacità dinamiche, sportive, senza fossilizzarsi nel solito drammone solitamente affibbiatole. Riscatto di un femminismo d'altri tempi,l; il film offre paesaggi incantevoli con qualche banalità che non inficia troppo la trama, prevedibile quanto basta. Bacon è sempre una garanzia di crudeltà, tagliato nel ruolo com'è, Reilly non ancora così bravo da impersonare mostri sacri alla Oliver Hardy, ma complementare. Strathairn umiliato oltre il dovuto, dal dubbio exploit finale.
MEMORABILE: Il ranger Johnny (Benjiamin Bratt) che insegue imperterrito la jella in canoa, benché la Gail/Streep faccia di tutto per fargli capire che non è aria.
Puppigallo: Fantascienza poco fanta e molto terra terra, anche se il tutto avviene su un altro pianeta. Un'umanità predatrice (l'estrazione da organismi e la storia della ragazzina sul suo lavoro di eviscerazione per arrivare alle uova lo confermano) e in certi casi disumanizzata o semplicemente persa è un po' il succo di questa vicenda, dove due individui agli antipodi finiscono per ritrovarsi soli contro tutti (mutuo soccorso). Il concetto è semplice e non ci sono particolari guizzi, ma la pellicola è onesta e i protagonisti affiatati. Non male dopotutto.
MEMORABILE: L'estrazione della gemma; "Sparami o passami il kit"; La "bella" storia dei ratti; L'amputazione "Per ora sento solletico...".
Redeyes: Piacevole. Statham, che vira verso Willis (vuoi per il caratteraccio, vuoi per l'aspetto) sorregge col redivivo mocciosetto Phillippe e l'impostato Snipes una pellicola dalla sceneggiatura non poi così tremenda. Buono l'uso della macchina da presa, che poco si perde in autocompiacimenti e mostra con sapienza. Il finale ha un suo perché.
Mco: Adriano Giannini in un ruolo duro e spietato, come lo sport che rimane al centro della narrazione. Deve cercare di far esplodere le doti di un giovane immigrato senegalese sul ring, prendendosi al contempo la rivincita in un mondo che troppo presto lo ha messo ai margini. Vero è che non mancano caratterizzazioni un po' risapute dei personaggi (con un Frassica vecchio allenatore un po' in ombra e Serena Rossi innamorata del bello e dannato), ma il ritmo che sale via via che il ragazzo manda k.o. gli avversari lascia nello spettatore un gusto buono in bocca. Sicuramente un buon film.
Pinhead80: Passato e presente s'incontrano in una favola d'amore senza tempo in cui due persone si sfiorano, s'incrociano e si amano più forti di ogni intrusione esterna. Quando l'amore è quello giusto nulla può permettere che questo non si concretizzi. I sentimenti prevalgono sugli eventi e anche quando questi sembrano prendere il sopravvento in maniera ineluttabile l'unione dei due spaventa tutto ciò che si frappone tra di loro. Una favola che tutti si augurano che diventi realtà.
Pinhead80: Passo indietro rispetto al primo film in questo sequel diretto da Jonathan Liebesman. Nonostante non l'abbia trovato così pessimo la percezione è la stessa che ho avuto nel primo film, ovvero la scarsa cura dei dettagli alla faccia della mitologia e dello spettatore. Si arriva al classico finale fracassone con la sensazione di aver visto lo stesso film centinaia di volte. Gli errori del primo film qui vengono replicati e questo è grave. Insufficiente.
Rocchiola: Un capitano nordista, un sergente di colore, un ex ufficiale sudista e un bandito messicano sono incaricati di scovare un folle colonnello sudista che vuole scatenare una nuova guerra civile servendosi dell’odio degli indiani nei confronti dei bianchi. Western d’azione picaresco piuttosto violento per l’epoca, amato da Tarantino. Un buon ritmo e alcune intuizioni originali lo elevano dalla media del periodo. Nell'ottimo cast guidato da Boone killer d'indiani per vendetta, spiccano O’Brien e Franciosa, ironico mascalzone privo di morale.
MEMORABILE: La tortura dei tre protagonisti trascinati dai cavalli indiani; L'indiana che continua a tenere tra le braccia il bambino morto; L'esplosione finale.
Bruce: Sulla scia di Rambo, filmone action con Schwarzenegger, tutto muscoli e sangue. Una lotta disperata per sopravvivere nella giungla, ma con la variabile aggiunta e originale del nemico, alieno dai potere straordinari e predatore spietato. La tensione costante, il buon ritmo e l'ottima direzione dell'esperto regista ne fanno un prodotto godibile che merita almeno una visione. Certo non è una pellicola per anime candide o troppo sensibili...
MEMORABILE: "Se sanguina, significa che lo possiamo uccidere!"
Skinner: Grande successo all'epoca, vista oggi è una innocua e anoressica pochade, tra i punti più bassi delle carriere sia di Salce che dei due protagonisti principali. Qui l'Ugo nazionale e la Vitti non fanno altro che ripetere, sia pure con mestiere induscutibile, le loro tradizionali maschere, così come la Bouchet, insolitamente bruna, al solito si spoglia generosamente, mentre nessun segno lascia il pesce lesso Richardson. Storiella di gelosie e tradimenti dallo svolgimento piatto e dalla morale scoperta e decisamente vecchiotta già allora.
Capannelle: La superpotenza nelle mani del cyber-criminale, le dita veloci sulla tastiera e tanti termini informatici per impressionarci. Ma chi scrive questi soggetti da quattro soldi viene pure pagato? Per fortuna che McLane è ancora in forma e ci riserva battute e inseguimenti mozzafiato, specie quello iniziale. I dialoghi tra lui e il ragazzino hacker, braccati dai cattivi, ricordano un po' Terminator 2. Le scene d'azione sono girate bene, peccato per la storia inconsistente e gli attori da telefilm.
MEMORABILE: Ora basta con questo cazzo di kung-fu!
Anthonyvm: Dopo un terzo capitolo simpatico ma complessivamente banalotto, il quarto tenta, se non di rinverdire davvero il franchise, di divertire l'affezionato pubblico in un sovvertimento narrativo da "what if" in odor de La vita è meravigliosa. Le regole del gioco seguono schemi anticipabili, ma sono qui trattate con gusto dagli autori, che ne ricavano uno script meglio studiato del previsto, incastrando con successo sentimenti e sorrisi in buon numero. Divertentissimo il nuovo villain Tremotino, piccolo manipolatore faustiano che cambia parrucca a seconda dell'umore. Un sequel azzeccato.
MEMORABILE: L'urlo alla festa; L'oca di Tremotino; Le lacrime di Shrek; Il Gatto con gli Stivali ingrassato; Il nascondiglio degli orchi ribelli; Bacio d'amore.
Il Gobbo: Quarta versione cinematografica (compresa Ossessione di Visconti) del classico romanzo di James M. Cain (che ha regalato al cinema anche La fiamma del peccato). L'ormai bollito Rafelson ci dà dentro col sesso "esplicito" (epocale l'infarinatissimo accoppiamento sul tavolo di cucina), sfruttando una Lange arrapantissima. Però, sarà Nicholson fuori parte, sarà un problema d'atmosfere, sarà il colore rispetto al b/n dei predecessori, al dunque è un film che delude. Due volte.
Capannelle: McConaughey autore di una prova sicuramente sentita in un film che espone una storia interessante e compiutamente trattata per certi versi, meno per altri. Ha un discreto ritmo per un'ora e mezzo, diventa meno incisivo nel periodo post fine guerra civile. Anche la durata, tarata sulle opere del genere epico storiografico, risulta eccessiva per goderselo appieno.
Tyus23: Ambientare un film di un'ora e mezza totalmente in una bara e far sì che non risulti di una noia mortale è già un'impresa non indifferente. Certamente però, al di là di una certa presa emotiva che inesorabilmente cresce col passare dei minuti, questo Buried ha ben poco da offrire, a cominciare da un finale tanto strombazzato ma, per quanto efficace, non così sorpendente. Ad ogni modo piuttosto interessante; il che, viste le premesse, può considerarsi un successo.
Victorvega: Metti l'intendimento di fare una critica feroce a un sistema, aggiungici brio, verve e soprattutto un attore fuoriclasse e viene fuori un bel film. Gran parte del merito è di Sordi (i suoi ghigni vedendo la trasmissione alla TV sono fantastici), che rende al meglio un personaggio cinico e arrivista. Ma anche il cast di contorno è notevole: basti pensare al bellissimo personaggio di Nuvoletti, professore che opera solo una volta che è stato firmato l'assegno. Bellissima la Galli.
MEMORABILE: L'operazione interrotta in attesa dell'assegno; "...signora Corradina".
Daniela: Da un romanzo che ho molto amato, una trasposizione che non mi ha deluso, nonostante il calligrafismo nella prima parte (campagna inglese, tappezzerie fiorite, case di bambola, il figlio della serva che viene fatto studiare ma deve restare al suo posto), indugi eccessivi negli intermezzi al fronte (anche troppo "belli" da vedere), interpreti discreti (soprattutto McAvoy) ma non esaltanti. È l'apparizione nel finale di Vanessa Redgrave a far tornare i conti, suscitando una struggente malinconia per il tempo perduto.
Magi94: Terribile. Neanche meritevole di essere valutato o chiamato "cinema". Personaggi che interpretano il peggior canone delle risate americane basate sul parlare in modo buffo o fare battute volgari. Dal momento che è già di per sé una parodia, non merita nemmeno posto nel trash. Quasi del tutto noioso, con sprazzi di "ma cosa sto guardando?" (i pupazzetti che diventano cannibali).
Disorder: Discreto spionistico in pieno stile Anni Sessanta: servizi segreti, infiltrati e il solito scienziato pazzo pronto a minacciare il mondo con armi atomiche. Confezione finto-ricca, con tantissimi esterni girati in mezz'Europa (soprattutto Amsterdam e Parigi); ovviamente lo stile è largamente debitore alla saga di 007, musiche comprese. Discreta la regia, passabile la storia, a cui si possono perdonare certi passaggi poco credibili (in quel genere e in quel periodo assolutamente normali). Nella norma, insomma...
Paulaster: In una comunità di pescatori la pazzerella Golino scombussola la vita al marito e ai paesani. Sceneggiatura che vive dei momenti della protagonista (e quando scompare si riscontra un inevitabile calo di attenzione) e della descrizione dell’isola al limite del primitivo. Il tutto è regolato da un codice d’onore dove i bambini si comportano come ne La guerra dei bottoni, i maschi sono dominanti e le donne son poco solidali tra loro. Finale che ripristina il tema dell'unione tra simili in una sorta di bolla sospesa.
MEMORABILE: Il fratellino in mezzo tra i due innamorati; In quattro sulla Vespa senza targa.
Kanon: Incipit che annienta 20 anni di pubblicità progresso (con buona pace del ministero della salute) in 30 secondi. Rara vetta del pensiero Murphy (tutto va male contemporaneamente), e il riso posto in pentola a bollire arriva al tavolo perennemente scotto e asciutto. Roba da sassaiola al passaggio a livello e pomodori rossi marci all'arrivo in stazione. Mastrandrea è l'unico che timbra, la Forte s'accorge troppo tardi d'aver sbagliato treno; Ottaviano, che fa? Concilia?
Guru: Ispirato ad un fatto realmente accaduto a Roma nel 1922 è un film ben articolato e con una buona sceneggiatura (Monicelli). Una parte del racconto soffre del taglio di trama, voluto, ma che produce l’effetto di dare per scontate delle sequenze che, inserite, avrebbero arricchito l’opera facilitandone la comprensione. Ma il buon finale inaspettato convince e pone fine ad una serie di dubbi. Elogio alla interpretazione di Gassman, cinico ricattatore e di Nazzari, collaudato padre di famiglia.
Il Dandi: Il reportage del prologo in stile Comizi d'amore sembra promettere un film che purtroppo non c'è: nel tentativo di cavalcare l'onda del dibattito d'attualità sul divorzio Sordi non riesce ad andare oltre la solita goliardica tirata d'orecchi all'ipocrisia del borghese cattolico che in realtà mantiene più famiglie in parallelo. Riciclo degli anni '50 e, quel che è peggio, non fa nemmeno ridere. Solo per completisti o per curiosi delle epifanie stracult (Dario Argento, Eugene Walter, Marina Morgan, Enza Sampò...).
Pigro: Vuol fare prosa e finisce nel cafè chantant: tra fine Ottocento e inizi Novecento un'attrice di poco talento attraversa società, cultura e politica italiana con immutata ingenuità. Efficace l'ironia di Monica Vitti, contornata da un buon cast. La cosa migliore del film è la ricostruzione storica, che però va a scapito della vicenda in sé della protagonista e delle sue avventure, subordinate all'intento di mostrare la storia dell'Italia da poco unita (e quindi i suoi incontri sono sempre, guarda caso, con persone esemplari di un certo tema). Prolisso.
Abbondano i simbolismi (i corvi in primis), i silenzi la fanno da padroni mentre l'assoluta protagonista Antonia Liskova – indubbiamente in parte – si ritrova a interpretare una madre ossessionata dalla figlia Lucy di otto anni (Mastrocola). La piccola appare come sfuggente, scontrosa, spesso più vicina al padre (Neuenschwander) che alla madre, da lei vista come “cattiva” senza che sulle prime se ne capisca il motivo; perché al contrario Nicole appare invece amorevole, sempre vicina alla figlia, comprensiva. Cosa nasconde Lucy? E cosa il marito, che parla quasi sempre in tedesco e capiamo presto come abbia tradito la moglie precipitandola in una crisi dalla quale la donna fatica a riemergere?
Il piano reale e onirico si confondono in un cocktail non certo originale che il cinema ci propina da anni in ogni variante possibile. Questa è una delle più utilizzate, quindi la scelta di servirsene lavorando quasi esclusivamente sull'impianto visivo non si rivela delle più felici. Certo, l'ambientazione montana sulle Dolomiti aiuta (il film è una coproduzione tra Italia, Svizzera e Slovenia), i paesaggi freddi si sposano bene con quanto si vuol comunicare (e non comunicare), ma per affrontare un tema tanto abusato con la speranza di farsi ricordare era necessario inserire qualche punta d'originalità che qui manca del tutto. Per chi bazzica il genere, insomma, l'intera vicenda si traduce in un lungo viaggio nella mente (malata? solo turbata? alterata?) della protagonista, con l'unico interprete esterno alla famiglia che risulta essere l'amante (Skrbinac) del marito, cui si concede una fugace presenza.
Orsetti di peluche, la bimba che appare un po' ovunque, poi scompare, riappare, inquietanti presagi, l'alcol sullo sfondo, i farmaci, il marito sulla cui ambiguità molto si gioca... Se la professionalità dell'insieme è garantita, non è facile perdonare l'insistenza con la quale si prolunga lo stesso schema all'infinito rallentando programmaticamente ogni scena e investendo la Liskova, pur brava, di una responsabilità enorme, che non può da sola assumersi sperando che il film riesca a coinvolgere. O si è disposti a immergersi in una dimensione liquida in cui accettare di buon grado la sostanziale assenza di azione e l'annullamento del ritmo, o il rischio tangibile è quello di trovare il film decisamente faticoso da seguire.
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