C'era una volta un merlo canterino - Film (1970)

Sicuramente il più celebre dei film Georgiani di Osselliani. Nella storia del giovanissimo timpanista di Tbilisi c'è tutta l'apparente evanescenza di un regista capace invece di disegnar sottotraccia la perdita d'innocenza di un mondo. Guia, spensierato, perdigiorno e perennemente ritardatario, non si assoggetta ad alcuna disciplina (lavorativa ma in realtà culturale e sociale). La sua ansia di vita è irredimibile, non irregimentabile. Folgorante b/n, ironia soffusa, un film-balletto al fondo malinconico. Finale che anticipa L'uomo che amava le donne.

Film il cui ritmo ed andamento è molto simile a quello di un balletto: lieve, veloce (ma anche compassato) e raffinato. La storia è apparentemente semplice ma si presta a diverse e ben più complesse letture: forse proprio per questo risulta anche un po' sfuggente ed a tratti evanescente ed inconcludente come il suo protagonista. Il suo metaforico personaggio fa venir voglia di schiaffeggiarlo a più riprese. Un buon film non sempre facile da inquadrare e quindi da giudicare.

Film di non facilissima valutazione in quanto la storia sembra girare a vuoto su se stessa senza capo né coda, come la vita del protagonista; questo rende un po' pesante seguire le vicende rappresentate. Comunque la pellicola può contare su buone interpretazioni e su un senso d'ironia sommessa che gli fanno guadagnare la sufficienza. Tra ** e **!

Il merlo canterino del titolo è Ghia: timpanista dell'orchestra sinfonica, giunge sempre in ritardo ai concerti, giusto in tempo per le poche battute finali che la partitura riserva al suo strumento. Ed anche nella vita di tutti i giorni gira a vuoto, sfarfallando da una ragazza all'altra, senza portare a termine mai nulla. Eppure questo personaggio così svagato non risulta deprecabile, anzi è malinconica l'ironia con cui il regista filma il suo girovagare: è la rotellina fuori posto dell'ingranaggio che segna l'avanzare del tempo, la cicala di Esopo che qui non arriverà mai all'inverno.

Il timpanista Guia, svagato e perennemente in ritardo, vive sfiorando la molteplicità delle persone e delle casualità di ogni giorno come esse si presentano nella loro fugacità, senza sovrapporvi principi socialmente condivisibili. Nella Tbilisi in pieno fermento culturale e artistico Iosseliani ci presenta una carrellata di personaggi altrettanto "leggeri" e sempre mossi da un'affettuosa spontaneità; una specie di affresco metaforico sull'individualità e il suo ruolo sociale, anche se non sempre ben accetto. Originalissimo, curioso e profondo.

Bruciare una giornata dopo l'altra impegnandosi con la mente in un progetto più fantastico dell'altro, salvo poi arrivare a sera e accorgersi con orrore di non essere riusciti a combinare nulla: prassi quotidiana per il timpanista Guia, perennemente al posto sbagliato nel momento sbagliato e incapace di assumersi le proprie responsabilità. Ma la vita adulta non ama i sognatori... Curioso cult del georgiano Iosseliani: pur non parlando di nulla né inscenando alcunché, sembra quasi propiziare la generazione automatica di catene di avvenimenti. Appropriato il metaforico finale amaro.

Facendo di necessità virtù, Iosseliani con i pochi mezzi a disposizione porta sullo schermo l'inconcludenza di Guia, un ragazzo georgiano che diventa subito un simbolo universale e senza tempo. Dietro il suo girovagare senza meta si nascondono le tare dell'URSS dei suoi tempi e il retaggio di un '68 che non è riuscito ad arrivare fin là. L'ironia è tanto efficace quanto spietata e il tema resta tramendamente attuale, con un protagonista in cui ancora oggi è facile identificarsi. Un cinema simbolico ma agile, drammatico ma divertente; un piccolo grande film dalla visione taumaturgica.

Guia è un giovane che sembra inseguire il tempo nel suo perenne arrivare in ritardo dappertutto: quando deve suonare il timpano nell’orchestra sinfonica, con gli amici... e in più è sempre svagato e frenetico simultaneamente. Il suo scollamento dalle regole comuni di vita è evidente e il tempo, quello del ticchettio di un orologio, sembra perseguitarlo. Parodia dell’uomo moderno che il regista racconta con libertà di espressione, facendoci ancora una volta riflettere sull’assurdità della vita, quando ci pare di trovarci “scordati” e al di fuori del suo pentagramma.